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August 13 2013
di Rocco Bellantone (Lookout News )
Se pensava di potersi concedere qualche giorno di siesta lontano dalle nuvole che oscurano il cielo messicano, il presidente Enrique Peña Nieto si sbagliava. Da alcune settimane la guerra dei narcos è infatti tornata a mietere vittime in tutto il Paese, promettendo un agosto bollente con rese dei conti all’interno dei stessi cartelli della droga, sparatorie tra gang ed esecuzioni in pieno giorno.
Tutto, paradossalmente, ha avuto inizio all’alba del 16 luglio, il giorno dell’arresto di Miguel Angel Trevino Morales, meglio conosciuto come Zeta-40, leader del cartello più temuto del Messico: i Los Zetas. La sua cattura è il colpo più duro assestato al narcotraffico dal centrista Nieto del Partito Rivoluzionario Istituzionale, che dall’inizio del suo mandato nel dicembre 2012 ha promesso un’azione di contrasto diversa rispetto al passato, puntando meno sui militari (a differenza del suo predecessore Felipe Calderón che tra il 2006 e il 2012 ne impiegò circa 20.000 producendo più di 70.000 morti) e più su incentivi per lo sviluppo economico e sociale delle aree disagiate del Messico.
L’uscita di scena di Zeta-40, catturato dalle forze di sicurezza messicane a pochi chilometri da Nuevo Laredo al confine tra Messico e Stati Uniti, pone però adesso il presidente di fronte a nuovi e complessi scenari, in cui di una sola certezza probabilmente potrà continuare a tenere conto: i leader passano, mentre gli affari legati al narcotraffico non si fermano.
- Zeta-40 e il futuro dei Los Zetas
Un attimo dopo la notizia dell’arresto di Zeta-40, in Messico si è cominciato a puntare su chi sarà il suo successore. Quarant’anni, arrivato dalla strada e non dalle forze armate come tanti suoi “colleghi”, Zeta-40 aveva assunto la guida dei Los Zetas nell’ottobre del 2012 dopo l’uccisione del fondatore del cartello Heriberto Lazcano. Nel giro criminale era entrato sin dall’adolescenza, prima nella banda dei Los Tejas e poi nel potente cartello del Golfo.
Già a metà anni Novanta tutto il Messico lo conosce per i modi poco ortodossi con cui si sbarazza dei nemici: torture raccapriccianti, decapitazioni e la crudele abitudine di bruciare vivi i suoi prigionieri. Il salto di qualità lo fa però nel 2007, quando guida l’uscita dei Los Zetas dal cartello del Golfo, divenendone in cinque anni il leader indiscusso. Da dietro le sbarre dovrà adesso rispondere, tra le tante, anche dell’accusa di aver ordinato centinaia di rapimenti e di aver fatto uccidere circa 260 immigrati centroamericani diretti negli States.
Con lui fuori dai giochi, adesso i Los Zetas potrebbero muoversi in due direzioni: puntare immediatamente su un nuovo capo, oppure iniziare ad ammazzarsi fra loro fin quando un vincitore non sarà in grado di assumere il controllo del cartello. L’ipotesi del passaggio del testimone non è semplice poiché i Los Zetas, a differenza di altri cartelli messicani come la Federazione di Sinaloa o come la mafia siciliana e la ’ndrangheta calabrese, non sono governati secondo scale gerarchiche famigliari. Questo aspetto mette perciò in forte dubbio l’investitura a capo di Omar Morales (Zeta-42), fratello di Zeta-40. È più probabile, invece, che il nuovo leader del cartello, i cui vertici sono coperti in maggioranza da ex militari provenienti soprattutto dalla marina messicana, venga nominato “per merito”.
L’alternativa, come detto, è la “guerra tra fratelli”. Non sono in pochi, d’altronde, a rivendicare la leadership, come Ivan Velazquez Caballero, detto El Taliban, attualmente in carcere. Se sarà faida interna, si prevedono mesi difficili per gli stati di Tamaulipas, Nuevo Leon, Zacatecas, San Luis Potosí, Coahuila, Veracruz, Hidalgo e Tabasco, dove i Los Zetas sono padroni incontrastati.
- Le reazioni degli altri cartelli
Ad approfittare della possibile implosione dei Los Zetas potrebbero essere gli altri cartelli che oggi si spartiscono il mercato della droga in Messico: la Federazione di Sinaloa, il cartello di Jalisco - Nuova Generazione, i Cavalieri Templari e il cartello del Golfo.
I primi a lanciare un segnale di sfida sono stati pochi giorni fa i Cavalieri Templari. Il 29 luglio tre suoi membri hanno ucciso nella roccaforte di Michoacan il vice ammiraglio Carlos Miguel Salazar, alto ufficiale della marina messicana, il corpo militare maggiormente impegnato nella lotta al narcotraffico. In Messico il suo omicidio è stato interpretato come un messaggio di avvertimento che i Templari avrebbero inviato non solo al governo ma anche ai Los Zetas. Nati nel marzo del 2011 da una scissione interna alla Familia, oggi dominanti nello stato di Michoacan e in ascesa anche negli stati di Morelos, Guanajuato, Queretaro e Guerrero, i Templari sono da sempre in guerra con i Los Zetas e adesso potrebbero puntare al sorpasso sfruttando anche una possibile alleanza con il cartello del Golfo.
C’è chi ritiene invece che il pericolo maggiore possa arrivare proprio dal cartello del Golfo, che mira a mettere le mani su Nuevo Laredo, snodo strategico del traffico di droga, armi e clandestini al confine con gli Stati Uniti, e su altri due importanti valichi di frontiera come Matamoros e Reynosa.
E poi c’è la minaccia sempre viva della Federazione di Sinaloa, il cartello il più antico in Messico, responsabile della metà del traffico di cocaina verso gli Stati Uniti e dell’omicidio di più di 10.000 persone. Anche Sinaloa vuole comandare i traffici di Nuevo Laredo e il suo leader Joaquin Guzman, conosciuto come El Chapo o Shorty, il signore della droga più ricercato dell’emisfero occidentale, potrebbe approfittare del caos di queste settimane per rientrare in patria e sfidare da vicino i Los Zetas.
- Le promesse di Obama
In questo nuovo capitolo della guerra della droga in Messico una mossa è attesa anche dagli Stati Uniti. A inizio maggio il presidente americano Barack Obama è volato in Messico per incontrare Nieto. Curare i rapporti con i vicini messicani rappresenta d’altronde un impegno da non poco per gli americani. Per Washignton il Messico è infatti un Paese strategico sul piano economico (è il secondo più grande mercato per le esportazioni americane e in assoluto il terzo partner commerciale degli Stati Uniti con scambi da 500 miliardi di dollari l’anno), dal punto di vista geopolitico (per filtrare i rapporti storicamente complicati con Cuba e Venezuela), per la gestione della sicurezza e per arginare i flussi migratori irregolari lungo le frontiere meridionali.
Obama per anni ha sostenuto economicamente la guerra aperta di Calderón finanziandolo con 1,9 miliardi di dollari e adesso - con l’economia messicana in crescita e Nieto pronto a liberalizzare il mercato energetico messicano - vuole raccogliere i primi frutti del suoi investimento.
Nella lotta al narcotraffico il governo messicano può quindi continuare a contare su di lui. Ma se gli USA non si inventeranno qualcosa per fermare la crescita del consumo nazionale di cocaina - di cui il 90% proviene proprio dal Messico e dai Paesi Centroamericani - quelle di Obama rischiano di rimanere promesse che non potranno mai essere realizzate.