Dal Mondo
January 25 2022
Segnali di guerra dall'Ucraina all'Irlanda
Il pericolo maggiore perché quanto sta accadendo in queste ore al confine ucraino si trasformi in guerra non è certamente la preoccupazione di Kiev alla richiesta di evacuare il personale diplomatico fatta dal presidente americano Joe Biden e neppure il cospicuo movimento di mezzi militari che la Nato sta avvicinando all'area del possibile conflitto, comprese le armi che nel pomeriggio del 24 gennaio sono arrivate in Ucraina provenienti dagli Usa, cosa che avviene dal 2014. Ad effettuare un primo atto ostile con tutta probabilità potrebbero essere i militari presenti a Donetsk che entro una settimana saranno accerchiati dalle forze russe su tre fronti e che, addestrati dagli occidentali, devono dimostrare di essere in grado di dare del filo da torcere all'esercito di Mosca. Basterebbe un drone spinto oltre il confine, oppure un maldestro sorvolo del nemico a scatenare una reazione e da quel momento a scatenare gli scontri. Per l'Europa si tratta della più grave crisi dal Dopoguerra, ma anche l'ultima eredità della politica estera di Barack Obama quando il segretario di Stato era Hillary Clinton. Oltre alla crisi libica furono portatori dell'idea di allargare la Nato verso est, fatto che non teneva conto di quanto la storia militare insegna dai tempi della caduta dell'Impero romano: tra due superpotenze deve sempre rimanere una fascia di sicurezza, un territorio “cuscinetto” da proteggere a qualsiasi costo, anche se rientra nella sfera d'influenza di una delle due. Era il 4 settembre 2014 quando Barack Obama, in visita a Tallin (Estonia), disse: “Mosca non pensi neppure lontanamente di fare ai confini dei Paesi baltici ciò che ha fatto in Ucraina, e si renda conto che la Nato è con Kiev.” Il possibile ingresso dell'Ucraina nella Nato non è però il solo motivo di conflitto: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha promulgato leggi che limitano l’uso della lingua russa nel Paese, riducendo così la possibilità che il Donbass russofono torni all’Ucraina come prevederebbero le condizioni di Mosca scritte nel protocollo di Minsk. Trattato che sarebbe superato qualora Mosca e Kiev riconoscessero come entità separatiste le regioni di Donetsk e Lugansk.
Ma l'idea stessa che l'Ucraina possa entrare nell'Alleanza atlantica è pericolosa quanto inopportuna, peraltro Kiev non possiede alcun requisito per aderirvi dal momento che la regione del Donbass è occupata dalle forze di Mosca e dalle milizie separatiste. Diversa la situazione della Georgia, altra nazione candidata a entrare a far parte degli alleati, che tuttavia, una volta schierata con l'Occidente, perderebbe anch'essa la sua funzione di regione “separatrice” tra Europa e Russia.
Purtroppo non aiuta il fatto che la voce della Nato coincida sempre con quella americana e che innanzi a questo, valgono poco sia il no della Ue, sia quello di Berlino e Londra all'intervento militare. C'è invece qualche possibilità che sia l'Italia a sostenere il dialogo con la Russia raffreddando la situazione. Un'altra scomoda verità innanzi alla quale è necessario fare i conti è il fatto che l'Alleanza atlantica sia in crisi d'identità da diversi anni: qualcuno ricorderà le parole del presidente francese Emmanuel Macron pronunciate nel novembre del 2019, quando affermò all'Economist che la Nato era in stato di “morte cerebrale”, sottolineando la totale mancanza di coordinamento tra gli Usa e il resto degli alleati. E non bisogna dimenticare il maldestro ritiro dall'Afghanistan con il riconoscimento sul piano internazionale del regime talebano.
Dall'altra parte il presidente russo Vladimir Putin non ha scelta e dice il vero quando sostiene che geograficamente non può ritirarsi più di così (le truppe sono ammassate comunque in territorio russo e, da qualche giorno, anche in Bielorussia, con reparti fatti arrivare appositamente dalla Siberia), e che l'idea di avere consiglieri militari Usa che lavorano da tempo in Ucraina, nonché la prospettiva di veder installare batterie missilistiche a 500 km da Mosca costituisca un chiaro segnale ostile. Di fatto il movimento di soldati verso Kiev cominciò a marzo del 2021, con la prima richiesta di Mosca alla Nato di negare la possibilità d'ingresso a Ucraina e Georgia.
Se vinceranno diplomazia e buon senso lo vedremo al massimo entro due settimane, in caso contrario avremo una nuova guerra ai confini europei, conflitto che l'Unione non sarà riuscita a impedire. In queste ore ascoltando i segnali radio provenienti da quell'area si sentono i radar a lungo raggio con il loro celebre ticchettio (per questo soprannominati Picchio russo), mentre da quanto si vede sui social, negli aeroporti bielorussi stanno atterranno intercettori, bombardieri, cargo che scaricano sistemi missilistici antiaerei, blindati, plotoni di paracadutisti e batterie di razzi pesanti a medio raggio. L'unica stonatura nella preparazione dell'invasione è che Mosca non sta facendo alcunché per nascondere questi schieramenti agli occidentali, con satelliti e aerei spia che fotografano una situazione chiara e allarmante. Le radio filo occidentali che trasmettono in onde corte vengono disturbate regolarmente, i siti web avversi a Mosca sono attaccati e anche via mare si notano movimenti della Fanteria di Marina di Putin che si sta posizionando nei porti del Mar Nero. Infine dietro a queste forze si rinforzano i magazzini di armi, di carburanti, gli ospedali da campo e la logistica che deve supportare una campagna su vasta scala.
C'è però un limite alla strategia russa: se la crisi si prolungasse, la pianura gelata sulla quale si muovono i carri armati diventerebbe un'immensa distesa di fango che ne impedirebbe i movimenti. Come se non bastasse, Putin ha ordinato di effettuare un'importante esercitazione navale a soli 200 km dalle coste dell'Irlanda, ovviamente in acque internazionali ma all'interno della zona di competenza esclusiva di Dublino che ha subito protestato, ma che non può certo opporsi. Una mossa preoccupante, poiché posizionare una parte della flotta russa ai confini occidentali d'Europa sa di ennesimo avvertimento agli Usa.