Se il controllore diventa hacker
Questa settimana ci sono due notizie che meritano particolare attenzione. Partiamo dalla prima. Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, durante la presentazione a Vibo Valentia di "Il Grifone" libro scritto a quattro mani con Antonio Nicaso, ha dichiarato che "Purtroppo gli hacker buoni costano. Quelli bravi vanno a lavorare nelle aziende private e quindi è un rincorrersi. Però bisogna accelerare, bisogna anche cambiare i contratti per tenere questi hacker buoni, di qualità, nella pubblica amministrazione altrimenti non riusciremo a contrastare questa nuova sfida delle mafie nel campo del dark web".
A parte il “purtroppo” iniziale sul quale ci sarebbe da discutere perché “quelli bravi” è giusto che siano adeguatamente pagati, il resto è un grido di allarme che non dovrebbe restare inascoltato, perché un conto è inseguire la criminalità (se la sorpassi non sai dove va), un altro è che sia talmente avanti da non riuscire neppure a vederla.
Dopo avere letto questa notizia, mi è capitata sotto gli occhi la seconda.
Secondo un’analisi effettuata dal Chartered Institute of Information Security sembra che si stia assistendo a una migrazione di professionisti della cyber security dal settore privato verso il mondo del crimine digitale. Le cause sarebbero elevati livelli di stress, stagnazione dei salari e carenza di riconoscimento del ruolo. In buona sostanza, il settore pubblico non può permettersi certe professionalità, quello privato le tratta male, il risultato è che i cattivi vincono. Non si può dire che a questo mondo manchi l’ironia. Di questo quadro piuttosto deprimente nessuno sa sempre né prenderne atto né, tantomeno, prendere provvedimenti ma, in effetti, è possibile fare qualcosa? Di primo acchito la risposta è fin banale: più soldi, qualche pacca sulla spalla al momento giusto e più assunzioni per una migliore distribuzione dello stress lavorativo. Tuttavia, stiamo parlando di una delle utopie che potremmo riassumere nel concetto di “mai così tanti dovrebbero fare così poco”. Per esempio: se tutti gettassero i rifiuti nel posto giusto risolveremmo molti dei problemi dell’ambiente. Oppure: se tutti evitassero gli sprechi alimentari si risolverebbe la fame nel mondo. Tragicamente dobbiamo prendere atto che le cose non funzionano in questo modo. Ai professionisti della sicurezza, pertanto devono rassegnarsi come hanno già fatto milioni di altri lavoratori, la “risposta fin banale” è anche quella che mai sarà data. A questo punto mi sento di provare a fornire un’altra risposta, forse non meno banale, ma che ritengo praticabile. Per questo ecco una terza notizia.
Una settantanovenne romana è stata truffata mentre effettuava un prelievo bancomat. Il criminale ha approfittato di un rallentamento nell’operazione che aveva spaventato la donna. Le ha offerto aiuto ed è riuscito a estorcerle una serie di informazioni, tra cui il PIN del bancomat e riuscendo a sfilarle il telefono dalla borsa. Risultato finale una serie di prelievi che hanno svuotato il conto della malcapitata. La signora ha molto umilmente detto: “Per carità, io mi assumo le colpe della mia sbadataggine, ma ricordiamoci che quando sono nata si usava il calamaio! Non è giusto ritrovarsi in disgrazia, disperati, senza poter curarsi o mangiare, per qualcosa di prevedibile come le truffe a noi persone fragili, realizzate tramite gli aggeggi della tecnica e dell'informatica. Chiedo alle associazioni dei consumatori di impegnarsi per una maggiore tutela degli anziani nei loro rapporti con le banche…". Forse è per aiutare queste persone che dobbiamo restare dove stiamo, forse dobbiamo credere che il nostro mestiere sia utile agli altri, forse dobbiamo rammentarci di Cicerone quando scriveva “non siamo nati soltanto per noi stessi”.
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