Lifestyle
February 21 2022
Altro che viale del tramonto. Non pensate neanche per un istante di chiamarli vecchie glorie, per carità. Sono Highlander, gli Immortali, giunti ormai alla terza giovinezza. Non invecchiano mai. E il palco dell’Ariston è stata la loro apoteosi: i miti del nostro passato sono tornati. Dopo averci fatto vivere i migliori anni della nostra vita, i grandi dello spettacolo oggi si riprendono la scena.
Pensavamo fossero orsi in letargo, buoni giusto per qualche ospitata. Invece ci ritroviamo sublimi regine, uomini dalle chiome folte e scure (come Massimo Ranieri, che a Sanremo arrivò nel 1968 a 17 anni e ancora si piange quando canta), panterone e tigri del materasso. Come Iva Zanicchi che a 82 anni dichiara di fare ancora l’amore con il marito, «perché se smetti di fare sesso, non lo fai più».
Non sia mai. E poi sale sul palco e per quattro minuti canta che sì vuole amarti, ma mica solo «per amore». L’Iva nazionale vuole ben altro che romantiche carezze. E ha detto chiaro e tondo che loro, gli Highlander, erano tornati, ma non per fare il «Festival della Baggina» (citando la celebre casa di riposo milanese). Non è il trionfo della dentiera. Hanno battuto i Millennials sul loro stesso campo, con la potente arma dell’eterna giovinezza. E stanno toccando vette altissime.
Orietta Berti si è trasformata nella nostra Lady Gaga. Lei che non ci ha mai deluso, questa volta si è superata. Gli abiti iconici, sfoggiati durante il Festival, hanno riempito i social: piumino della cipria o forse spugnetta gialla della doccia, Fata Turchina o Bacio Perugina. Comunque sempre, semplicemente strepitosa. E la sua canzone Luna Piena, con quel verso da donna che non deve chiedere mai: «Quando tutto finisce, io mi amo anche da sola», avrebbe probabilmente vinto se fosse stata in gara.
Via le pattine e lo scialletto. Gianni Morandi partecipò al primo Festival nel 1972 (l’anno del 25esimo anniversario di matrimonio della Regina Elisabetta, tanto per prendere un parametro eterno). Con un’energia che vorremmo avere noi quando ogni mattina ci trasciniamo dal letto al computer in pigiama di flanella, è arrivato terzo. Lo stesso sorriso di quando cantava In ginocchio da te, lo smoking sul fisico asciutto, portato meglio di James Bond. Esulta come un bambino, mentre Blanco, vincitore, dietro le quinte lo prende in braccio in un corto circuito stupefacente (nel senso che neanche sotto stupefacenti avremmo mai potuto credere a tanto).
«I social hanno reso più facile questo ripescaggio. Una collaborazione imprevedibile come quella tra Fedez, Orietta Berti e Achille Lauro è stato il successo più importante dello scorso anno. Una volta sarebbe stato impensabile» osserva Gabriele Ferraresi, scrittore, che per Il Saggiatore ha pubblicato Mad in Italy - Manuale del trash italiano, divertente bestiario sul nostro tempo incerto. «Eppure ci fu un tempo in cui rimasero ai margini. Morandi, per esempio, confessò che negli anni Settanta il telefono non squillava mai. Poi è riemerso, fortissimo. Sono bravissimi a tenere tutto insieme in modo intelligente e con ironia, giocando con diversi registri. Uno di questi immortali è Giancarlo Magalli, che ebbe un momento di enorme popolarità nel 2015. C’era una pagina Facebook che si chiamava: “Ma quanto ca**o è bello Magalli”. Lui non si offese, anzi uscì a cena con i fan, scherzando sul fatto che era diventato un meme nazionale. Non è affatto scontato prendere con la leggerezza giusta queste cose».
Ormai tout se tient, tutto si tiene insieme. Così riappare splendida splendente Donatella Rettore, la donna che nel 1980 ci chiarì che il cobra non è un serpente, ma un pensiero indecente. Oggi canta con l’iconica pettinatura punk, un po’ Crudelia De Mon, un po’ Vivienne Westwood. Il video del suo pezzo Chimica sembra un film di Wes Anderson. Genio, sregolatezza e polemica, perché non le hanno concesso di fare un suo medley (che peccato!). Ma quanta voglia ancora di lotta e rivoluzione. I social la osannano. E forse non sanno che fu protagonista di un film stracult: Cicciabomba (1982) di Umberto Lenzi. Roba che con la smania di politically correct che ci divora, oggi non si sarebbe potuta girare. Ma la Rettore era avanti, troppo avanti.
«La tv ci gioca da trent’anni con la nostalgia» continua Ferraresi. «Questo successo è anche il segno che la tv generalista non è affatto morta, come sentiamo spesso dire». Il re della tv da nostalgia canaglia è un altro Highlander: Renzo Arbore. Appena nominato Cavaliere di Gran Croce, lo vorremmo senatore a vita. E ancora non sarebbe abbastanza per tutto quello che ci ha regalato. «Viviamo in un mix di vecchie glorie, nuove glorie e glorie medie che si mischiano, si divertono, ben lubrificate da Twitter e Instagram. Sembra che il tempo si sia fermato, rallentato» conclude lo scrittore.
È ciò che per primo scrisse quel genio di Edmondo Berselli anni fa nel suo Venerati maestri: «Siamo tutti sullo stesso piano, la scena è domestica, l’interno è famigliare, si avverte il tepore della comunità. Siamo fra di noi. Nella stessa tiepida cacca». Passato, presente e forse futuro. Lo showbiz ha capito che è meglio collaborare, la rottura non interessa più a nessuno. E così Lauro si inginocchia davanti a un’icona come Loredana Bertè, a chiedere perdono. E lei gli elargisce una laica benedizione.
Ma il simbolo di questa eternità gloriosa è Ornella Vanoni. Ottantasette anni e la prossima settimana sarà al cinema con il film Senza fine di Elisa Fuksas, tutto su di lei. Il mito dice: «Ci ho messo tanti anni per diventare giovane». Incontrastata Queen. Molti vorrebbero essere la sua badante per rollarle la canna serale, che ha confessato di fumare da sempre. Mentre guardiamo il nostro triste profilo Tinder, pensiamo a Giorgio Strehler e Gino Paoli, tra i tanti che l’hanno amata. Donna libera, anzi liberissima.
«Io credo nell’avvento dei Futuri» scrisse Michel Houellebecq ne La possibilità di un’isola. I «Futuri» sono loro. Senza ieri, né domani. Capaci di farci vivere in un eterno presente. Bellissimo e spaventoso.