Tecnologia
August 01 2016
Prima o poi la cyberwar doveva tornare di moda nella corsa alla Casa Bianca.
Lo sa bene Hillary Clinton, che ha già dovuto affrontare due “breach” informatici, falle nel sistema che hanno messo a repentaglio la propria incolumità e quella del partito Dem. La prima ha riguardato la vicenda etichettata come "mailgate", ovvero l’utilizzo, quando era Segretario di Stato, di un server di posta privato (collegato al dominio del proprio sito) per l’invio e la ricezione di posta sensibile e classificata per la quale avrebbe invece dovuto usare l’account riservato ai membri del governo.
Prima fu il Mailgate
Non si hanno prove di intrusioni hacker o fuoriuscita di informazioni a danno dell’allora ministro degli Esteri Usa, ma la vicenda ha messo in luce qualche leggerezza di troppo nella gestione delle comunicazioni politiche con il rischio, del tutto concreto, che qualche dato sia potuto finire nelle mani sbagliate. Un mese fa l’FBI l’ha assolta dall’accusa di reato, per non aver trasmesso di proposito all’esterno le suddette email, ma il malumore resta.
Ed è aumentato ancora di più nelle ultime ore, quando è tornata in ballo la seconda questione, quella dell’attacco hacker ai danni del Comitato Nazionale dei Democratici (Dnc) scoperto a giugno di quest’anno. Certo, la Clinton c’entra ben poco nella violazione subita dal Commitee ma a far discutere sono le dichiarazioni di ieri riportate dal Guardian: “Sappiamo che l’Intelligence russa ha hackerato i nostri server”. Partiamo proprio da qui.
Chi sono gli hacker russi
Che dietro l’intrusione ai sistemi del Dnc ci siano soggetti russi è praticamente certo (gli stessi che hanno mirato la Farnesina da anni). Non ci basiamo sulle affermazioni di Hillary Clinton né su quelle di altri politici ma su quanto detto il 14 giugno da CrowdStrike, l’agenzia di sicurezza chiamata a liberare i server dei democratici dalle tracce del nemico.
Stando alle analisi degli esperti, la provenienza dei cybercriminali non sarebbe dubbia, almeno non come localizzazione. La fonte è però doppia: da un lato il Gru, dall’altro l’Fsb. Il primo è il servizio segreto militare russo, conosciuto anche come Cozy Bear, il secondo è l’erede del KGB. Le due società di Intelligence potrebbero aver agito assieme, oppure come cani sciolti, l’evidenza è che una delle due, o entrambe, si sono fiondate nelle strutture del partito americano. Che poi la mossa sia stata azionata da parte di Putin per capire le mosse dello staff di Clinton nella campagna elettorale, è tutto da dimostrare.
La strategia politica
Le parole della candidata democratica non raccontano dunque nulla di nuovo, ma rappresentano una risposta dovuta a quanto compiuto da WikiLeaks il 22 luglio, quando ha pubblicato online oltre 19.000 email del Comitato Nazionale dei Democratici. Non è chiaro se il database sia stato ottenuto attraverso la posta privata di Clinton o tramite l’hackeraggio di giugno, resta il fatto che la prima conseguenza è stata quella di mettere in mostra le tensioni tra la minoranza del partito a favore di Sanders, e la maggioranza allienata con Clinton. Da parte sua, la candidata democratica ha puntato il dito contro Mosca e la (presunta) sua volontà di mettere zizzania tra i democratici proprio adesso che si intravede il traguardo.
“I russi hanno lavorato tanto per ottenere quelle email e ora che sono state divulgate ci rendiamo conto di quanto Donald Trump ci tenga a essere ben visto da Putin". La vicenda dunque oscilla fra una questione internazionale e la competizione elettorale interna agli Stati Uniti.
Secondo Clinton, anche qui senza grosse sorprese, il tentativo degli hacker del Cremlino è di infangare la campagna presidenziale democratica, disegnando il team a supporto come una sorta di avvoltoi capaci di fare tutto pur di tagliare la strada ai rivali, anche quelli dello stesso colore.
Intanto stamane Andrei Krutitskikh, rappresentante di Putin per la cooperazione internazionale nella sicurezza informatica ha rimandato le accuse al mittente, etichettandole come offensive e scandalose: "Perché sinora non hanno avanzato lamentele o azioni ufficiali? Sono accuse infondate ed è segno di debolezza arrivare a questo punto senza un’indagine”.
A rincarare la dose ci ha pensato Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino: "Gli americani ci mettono in mezzo per nascondere i loro imbrogli, demonizzano la Russia senza motivo. I nostri servizi non conducono operazioni di cyber-spionaggio, visto che lavoriamo per normalizzare i rapporti con Washington". Parole meno fredde del previsto, che ora attendono risposta.