Alla scoperta di Honor, il brand “giovane” di Huawei

Una schiera di droni ci ronza attorno, in modo piuttosto molesto. Mentre cerchiamo di scansarli, a fatica, ci accorgiamo di essere circondati da negozi di elettronica popolati da venditori più o meno credibili. Qualcuno prova a venderci un iPhone 6S a un terzo del suo prezzo, ma è chiaramente un tarocco. “Quando lo accendi scopri che il sistema operaitvo è Android, altro che iOS", ci avvisa un turista francese che evidentemente ha già qualche esperienza alle spalle:.

Siamo a Huaqiangbei, uno dei quartieri più popolari di Shenzhen, nel sud della Cina, ma sembra di essere in una delle metropoli distopiche immaginate nei vari film di fantascienza dello scorso millennio, da Blade Runner al Quinto Elemento. L’aria è surreale, oltre che inquinata, e non solo per via del Natale, festeggiato anche da queste parti nonostante nessuna delle divinità autoctone abbia qualcosa a che spartire con il 25 dicembre.

Huaqiangbei (Shenzhen)Roberto Catania

Una megalopoli trainata dall'elettronica
Huaqiangbei è diventato negli ultimi anni il più grande mercato di componentistica elettronica del mondo, un vero e proprio laboratorio a cielo aperto dove si inventano, si assemblano o semplicemente si rivendono apparecchi elettronici di tutti i tipi. Molte delle startup che si sono insediate da queste parti sognano di diventare il nuovo fenomeno mondiale dell'hi-tech Made in China. A Shenzhen, del resto, sono nate alcune delle stelle più luminose del firmamento tecnologico: Huawei, ZTE, Hanslaser, senza dimenticare Foxconn, la gigantesca azienda dove si fabbricano gli smartphone più importanti del mondo, iPhone compresi.

Sono soprattutto queste realtà a trainare la crescita della città, diventata una megalopoli da 15 milioni di abitanti nel giro di soli 30 anni. Sembra impossibile, ma a metà degli anni Ottanta questo era uno dei tanti villaggi di pescatori della Repubblica popolare cinese. Poi vennero le riforme, gli incentivi fiscali, le fabbriche di prodotti destinati all’occidente, il benessere. Il Natale, ci spiega una guida locale, è solo un’occasione come le altre per fare regali; in Cina, e in particolar modo a Shenzhen, c’è voglia di spendere.

Huaqiangbei (Shenzhen)Roberto Catania

Il brand dei "nativi digitali"
Shenzhen è anche il quartier generale di Honor, il brand satellite di Huawei divenuto popolare anche dalle nostre parti per via dei suoi smartphone low cost. Un caso più unico che raro nel panorama tecnologico, laddove raramente si vedono aziende sdoppiarsi in questo modo, se non per motivi legati ad acquisizioni.

Fatte le debite proporzioni, Honor sta a Huawei come Skoda sta al Gruppo Volkswagen: i suoi prodotti condividono la stessa tecnologia della casa madre, in molti casi anche il design, ma il posizionamento è diverso. Se Huawei punta esplicitamente alla vetta del mercato, laddove Samsung e soprattutto Apple dettano legge da anni, Honor vuole parlare a un pubblico diverso, i cosiddetti nativi digitali, utenti giovani, con una disponibilità all’acquisto più limitata, ma non per questo meno esigenti, anzi.

Indistinguibili: un phablet Huawei (a destra) e la sua corrispettiva versione Honor (a sinistra)Roberto Catania

60 milioni di utenti in due anni
Le cifre diramate dalla casa parlano di 60 milioni di utenti in due anni, non poche in un mercato - quello degli smartphone Android - a dir poco affollato, e nel quale i produttori, quasi tutti orientali, fanno ormai a gara chi lo fa più economico. "Nessuno immaginava potessimo arrivare a questi risultati", commenta George Zhao, Presidente di Honor, sottolineando le ragioni di questo successo: "Siamo riusciti a tagliare i costi medi della catena di produzione, in particolare quelli legati alla distribuzione".

Sì perché i dispositivi Honor non si vendono nei negozi di elettronica e nelle grandi catene retail: chi li vuole deve andare su Internet, su Amazon ad esempio, o su Vmall, il bazàr online creato da Huawei per l’acquisto di tutti suoi i prodotti. I giovani, del resto, ormai vivono su Internet, e si fidano dei giudizi degli utenti più che delle parole dei venditori. A maggior ragione di quelli di Shenzhen.

Da sinistra a destra: Steven Wang, George Zhao e Zhao Gang, rispettivamente CMO, Presidente e Managing Director di HonorRoberto Catania

Alle spalle un colosso da 50mila dipendenti
I vantaggi dell’ecommerce spiegano solo una parte del fenomeno Honor, impossibile senza la solidità di un Gruppo come Huawei alle spalle. Il confronto in termini di forza lavoro è impietoso: 300 i dipendenti di Honor, contro i quasi 50mila di casa madre, che va detto, non si occupa solo di realizzare dispositivi mobili, ma anche di sviluppare sistemi e di soluzioni di rete e telecomunicazioni. "Abbiamo razionalizzato la supply chain", ci spiega Zhao Gang, Managing Director Honor Overseas Business; "noi ci occupiamo di fare il primo passo, poi ci pensa la produzione e i nostri partner a tradurre in concreto i progetti".

L'ingresso di uno degli stabilimenti di Huawei, a ShenzhenRoberto Catania

I due marchi, in ogni caso, condividono la stessa sede, gli stessi brevetti, lo stesso approccio al lavoro, le stesse policy sulla tutela dei lavoratori. Gli scandali che hanno coinvolto altre aziende, su tutte Foxconn, sembrano lontani anni luce, nonostante la vicinanza geografica. "Ci atteniamo rigidamente alle policy previste dal label del Gruppo", continua Gang, "molti dei clienti Huawei, e in particolare i grandi operatori internazionali vengono a visitare le nostre fabbriche per effettuare veri e propri audit sulla qualità del lavoro, abbiamo capito che questo è un valore molto importante".

Il fine, banalmente, non è solo quello di ottemperare alle leggi. C’è anche e soprattutto la volontà di garantire condizioni lavorative che sappiano attrarre i migliori talenti da tutta la Cina. “Il 60% della nostra forza lavoro ha un’età media sotto i 25 anni, precisa il responsabile, ci fidiamo dei giovani, diamo loro molte responsabilità, rappresentano la nostra linfa sempre nuova, sono loro il vero collegamento con la nostra base di utenti". Perché è evidente, se davvero vuoi parlare ai giovani, devi innanzitutto conoscere la loro lingua.

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