Il nome ufficiale è MACS J1149+2223 Lensed Star 1, ma, dato che si parlerà a lungo di lei, è stata chiamata semplicemente Icarus.
È la stella più lontana mai vista finora: si trova infatti in un ammasso di galassie distante cinque miliardi di anni luce in direzione della costellazione del Leone.
L’ha trovata un team internazionale di astronomi, tra cui Claudio Grillo, astrofisico dell'Università Statale di Milano, tramite una serie di osservazioni effettuate dal telescopio spaziale Hubble tra il 2011 e il 2016 nell’omonimo gruppo di galassie molto vicine tra loro MACS J1149+2223.
Il telescopio in orbita attorno alla Terra è in grado di guardare a distanze anche maggiori, fino al doppio di quella di Icarus, ma le sue ottiche non riescono a distinguere le stelle una a una nell’immenso bagliore di queste remote galassie.
In questo caso, invece, si è potuta ottenere l’immagine di questo singolo astro grazie a un effetto ottico “naturale”, cioè la lente gravitazionale prodotta dall’ammasso galattico che contiene Icarus, che ha “amplificato” la luce della stella.
Cosa sono le lenti gravitazionali
Anche i raggi di luce che si propagano nello spazio sono soggetti alla forza di gravità esercitata dai corpi celesti, quando passano nelle loro vicinanze: per esempio, un oggetto abbastanza massiccio come il Sole è in grado di deviare la traiettoria della luce di altre stelle situate molto più lontano.
Questo effetto, dovuto alla curvatura dello spazio-tempo descritto nella teoria della Relatività Generale, si può apprezzare durante le eclissi, quando si riescono a vedere le stelle che stanno nella regione di cielo dietro al Sole proprio, perché quest’ultimo distorce il percorso dei loro raggi luminosi.
Gli astronomi hanno così pensato di sfruttare il fenomeno delle lenti gravitazionali per osservare oggetti molto distanti, se lungo la linea di vista tra noi e questi si trovano galassie così massicce che possono deflettere il percorso dei loro raggi di luce.
In pratica le lenti gravitazionali consentono di vedere letteralmente quello che c’è dietro di loro, perché fanno “girare attorno” ad esse i fasci di luce emessi dalle galassie alle loro spalle.
Questo è quello che è successo nel caso di Icarus: l’ammasso galattico MACS J1149+2223 ha prodotto una forza di gravità così forte sulla sua luce da deviarla come in una lente ottica e allo stesso tempo amplificarla di ben duemila volte e a quel punto Hubble è stato in grado di vederla.
Alla scoperta di Icarus
Gli astrofisici hanno analizzato le caratteristiche dell’astro e ritengano che appartenga alla classe spettrale B, che comprende stelle molto più grandi e luminose del Sole e che emettono luce di colore blu-azzurro.
La più famosa stella di questo tipo è Rigel, nella costellazione di Orione, che brilla nel freddo cielo invernale di un azzurro intenso, ben distinguibile dall’arancione di Betelgeuse, sempre nella stessa costellazione, che invece è una super gigante rossa.
La temperatura della superficie di questa classe di stelle va dai diecimila ai quindicimila gradi, il doppio di quella del Sole. Secondo gli esperti Icarus ha cominciato a brillare 4,4 miliardi di anni dopo il Big Bang, l’esplosione primordiale che ha dato origine a tutto l’universo, e quindi è stato un astro vissuto quando questo era ad appena ad un terzo della sua attuale età (quasi quattrodici miliardi di anni).
Perché l’osservazione è importante
La scoperta di Icarus consolida la tecnica delle lenti gravitazionali come metodo per esplorare gli anfratti più remoti del cosmo: riuscire a vedere così nitidamente questa lontana e antica stella apre nuove strade sullo studio dettagliato dell’evoluzione dell’universo.
Non solo. Nel giro di appena un mese gli astronomi hanno notato che la stella ha triplicato la sua luminosità. Questo fenomeno è stato attribuito all’effetto di una micro lente gravitazionale, cioè dovuto al transito di un astro della massa di circa tre volte quella del Sole vicino a Icarus.
Le micro lenti gravitazionali, generate non da ammassi di galassie ma da singole stelle, sono importantissime per l’osservazione dei pianeti extrasolari, perché magnificano la loro luce, troppo debole altrimenti per poter essere rilevata direttamente da uno strumento.
Il successore di Hubble, il telescopio spaziale Webb che sarà mandato in orbita nel 2020, permetterà di osservare altre stelle come Icarus e di raccogliere informazioni più dettagliate su astri lontani e di comprendere più a fondo i fenomeni che governano l’evoluzione stellare.