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Ansa/uff. Stampa Banca d'Italia
Economia

I controllori fuori controllo di Bankitalia

Alle buste verdi - quelle utilizzate per le convocazioni in Procura - ultimamente hanno dovuto fare l'abitudine a Palazzo Koch. È lungo l'elenco di commissari o alti funzionari della Banca d'Italia finiti sott'inchiesta perché sospettati di essere stati colpevolmente «sbadati» o troppo clementi nel corso delle ispezioni. In alcuni casi, i processi sono in corso. In altri, invece, i fascicoli sono stati archiviati. Eppure il dato che emerge da molti episodi è univoco: chi doveva vigilare sui casi di mala finanza o si è voltato dall'altra parte, oppure, nella migliore delle ipotesi, non è stato capace di esercitare la funzione di controllore.

Ci sono stati casi in cui i dipendenti dell'istituto centrale sono usciti con porte «girevoli» per andare a occupare posizioni di vertice in varie Popolari. E nella stessa Bankitalia ammettono il problema: ai tempi del Decreto Genova per il crollo del ponte Morandi, i grillini hanno provato a risolverlo con un emendamento che avrebbe dovuto vietare a ex funzionari di accettare incarichi in istituti di credito privati per sei anni dalla loro uscita da quello nazionale. Alla fine, tuttavia, quell'emendamento non è stato approvato.

Commistioni e ambiguità, d'altra parte, sono state denunciate dalle associazioni di consumatori a ogni fallimento bancario. E dai fascicoli giudiziari continuano a emergere dettagli significativi.

I magistrati che stanno cercando di far luce sui disastri della Banca popolare di Bari, l'ex maggiore istituto di credito del Sud che ha registrato perdite per 1,6 miliardi di euro, si sono arrovellati sulla relazione tra il «board» di comando e chi doveva sorvegliare. Soprattutto da quando è emerso dal fascicolo un verbale del 2018: in un primo momento sembrava poco rilevante, ora invece sembra incuriosire molto gli investigatori.

Così, davanti al procuratore aggiunto di Bari Roberto Rossi, coordinatore degli oltre dieci fascicoli aperti sulla vicenda, si è seduto un suo omonimo: Salvatore Rossi, l'attuale presidente di Tim, il colosso della telefonia, ma all'epoca direttore generale di Bankitalia. Il pm lo ha convocato come persona informata sui fatti, ritenendolo un testimone importante. Non tanto perché barese, quanto per capire chi da Bankitalia, nel 2013, abbia pilotato l'affare che ha portato la Popolare del capoluogo pugliese al default: l'acquisto di Banca Tercas, la cassa abruzzese che era sull'orlo del baratro (750 milioni di euro di perdite). Ricostruire quella fase per i magistrati risulta uno snodo cruciale.

Ripercorriamone la storia. A ottobre del 2010 la Vigilanza chiude un'ispezione sulla Popolare di Bari e commina due sanzioni: una amministrativa pecuniaria e una che impone «l'astensione da qualsiasi iniziativa di crescita per linee interne ed esterne». L'istituto, insomma, per Bankitalia non può espandersi. Però, il 17 ottobre 2013, il padre-padrone Marco Jacobini si presenta in consiglio di amministrazione e, a sorpresa, annuncia che l'istituto centrale ha sollecitato il «board» a intervenire nel salvataggio di Tercas. Palazzo Koch, d'altra parte, è direttamente interessato: solo pochi mesi prima aveva finanziato Tercas per provare a salvarla (la linea di credito da 480 milioni di euro risale al 16 luglio 2013).

Seguendo la linea indicata dal consiglio della Vigilanza, la Popolare di Bari decide di acquisire la banca abruzzese, condannandosi di fatto al fallimento. Per concludere l'operazione, inoltre, il 10 giugno 2014 Bankitalia rimuove il divieto di intraprendere «iniziative di crescita». L'ipotesi della Procura è che le ispezioni successive, a partire da allora, si siano molto addolcite. Il Codacons, dal canto suo, ha chiesto di verificare «se la Banca d'Italia abbia omesso di vigilare» e ha espresso il sospetto che ci sia addirittura un «concorso nel crac». Di certo, per ora, esiste un'ipotesi di corruzione, su cui la Procura ha messo al lavoro gli investigatori della Guardia di finanza, che punta dritta al nostro istituto centrale.

L'elenco di procedimenti in cui sono rimasti coinvolti uomini della banca è ancora lungo. Nel caso di Banca Etruria (oltre un miliardo di euro di «buco»), per esempio, i commissari nominati da via Nazionale dal febbraio 2015 fino alle soglie del Decreto salvabanche e della liquidazione forzosa, Riccardo Sora e Antonio Pironti, sono indagati dalla Procura di Arezzo per la cessione di 301 milioni di euro di sofferenze al Credito fondiario, ora controllato dal Fondo Elliott.

Il contratto viene siglato il 16 novembre 2015, appena sei giorni prima della risoluzione salvabanche progettata dal governo Renzi anche per Etruria. La vendita, per un corrispettivo pari a poco più del 14 per cento del valore nominale, definita «irrilevante» da Bankitalia, è stata oggetto di un esposto delle associazioni Vittime del salvabanche e Amici di Banca Etruria. Nell'esposto vengono contestate perdite per 70 milioni di euro. Soldi che «avrebbero permesso di rimborsare tutti gli obbligazionisti esclusi dal rimborso» disposto dal governo per i risparmiatori.

Sempre Sora, stavolta con Piernicola Carollo, è rimasto coinvolto anche nell'inchiesta per la gestione fallimentare della Cassa di risparmio di Rimini. Un procedimento conclusosi con un nulla di fatto, anche perché iniziato quando gran parte delle accuse erano già quasi prescritte. Stessa sorte toccata all'indagine sui liquidatori di Veneto Banca (mega fallimento da nove miliardi di euro) scelti da Bankitalia, Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Fabrizio Viola: dopo l'accusa di omissioni di atti d'ufficio è arrivata l'archiviazione.

Il caso rischia però di riaprirsi, ancora una volta nei confronti dell'istituto centrale, per «omessa vigilanza nei confronti di Veneto Banca». Il nuovo fascicolo romano prende le mosse da un esposto presentato da Pietro D'Aguì, ex top manager di Banca Intermobiliare (Bim), ed è stato trasferito proprio a Treviso da alcuni mesi.

Giuliana Scognamiglio compare anche in un'altra indagine, ovvero quella sul commissariamento e sulla successiva vendita della Popolare di Spoleto (200 milioni di euro di perdite stimate). In quel caso, sul registro degli indagati finisce - con i commissari Giovanni Boccolini, Gianluca Brancadoro e Nicola Stabile e ai componenti del comitato di sorveglianza Silvano Corbella, e Giovanni Domenichini - anche il governatore Ignazio Visco.

Ancora: dalla vicenda della Cassa di risparmio di Ferrara (un «rosso» da 780 milioni di euro) ispettori e commissari di via Nazionale passano indenni. Tuttavia la procura non ha risparmiato critiche alla Vigilanza, sostenendo che Bankitalia non ha comunicato alla Consob le raccomandazioni sull'aumento di capitale. Tale cortocircuito informativo ovviamente è andato a tutto danno dei risparmiatori…

Altro incidente di percorso per la bancarotta di Carichieti (304 milioni di euro di perdite). A Chieti finiscono nei guai solo gli ex commissari straordinari Salvatore Immordino e Francesco Bochicchio. Nella commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche, il procuratore Francesco Testa e il pm Giuseppe Falasca spiegano che le indagini si sono concentrate sulla svendita dei crediti. Per questo non hanno riguardato i vertici dell'istituto, puntando solo sui commissari. L'inchiesta si è arenata perché non si è riusciti a stabilire l'eventuale dolo nell'operazione.

Non è comunque l'unico episodio in cui i titoli hanno perso valore con la presenza dei commissari. In Calabria, per esempio, l'indagine che coinvolge Bankitalia è partita da un esposto dei locali «sbancati» e, intrecciandosi con quella sulla Popolare di Bari, mira ad accertare se ci siano state responsabilità nel crollo delle azioni della Banca delle province calabre.

Ancora una volta è il Codacons a chiedere alla Procura di intervenire, a tutela degli azionisti. La gestione straordinaria, nominata dall'istituto centrale, si sostiene nella denuncia, è costata circa un milione di euro e ha «inspiegabilmente» rifiutato di eseguire la volontà assembleare, «finendo per consegnare l'istituto calabrese alla Banca popolare di Bari». E ora l'associazione di consumatori chiede di accertare le responsabilità per la perdita di valore dei titoli. Una costante nelle inchieste sulle banche finite gambe all'aria.

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In merito all'articolo abbiamo ricevuto una lettera da Banca d'Italia, che pubblichiamo:

Gentile Direttore, con riferimento all'articolo apparso su Panorama "Bankitalia - I controllori fuori controllo" di Fabio Amendolara desidero fare alcune precisazioni. Si tratta di notizie pubbliche, nel rispetto del segreto istruttorio che assiste l'azione della Magistratura, con cui la Banca d'Italia collabora attivamente.

L'articolo afferma che vi sarebbero indagini a carico di numerosi dirigenti della Banca d'Italia impegnati nell'attività di vigilanza. Ciò non risponde al vero. Non c'è alcun avviso di garanzia a carico di tali dirigenti. Inoltre, ad oggi nessun giudice ha mai accertato alcuna responsabilità per danni della Banca d'Italia per carenza di vigilanza nei casi citati.

Sulla vicenda Tercas la Banca d'Italia ha fornito informazioni e chiarimenti in molte occasioni pubbliche (vedi ad esempio ELA Tercas; Domande e risposte sulla crisi della BPB). In particolare, il prestito a titolo di liquidità di emergenza (ELA - emergency liquidity assistance) citato nell'articolo è stato concesso a Tercas in base alle norme italiane ed europee. Questo tipo di finanziamento, di competenza delle Banche centrali nazionali ma sottoposto a valutazioni del Consiglio direttivo della BCE, è assistito da adeguate garanzie. Pure l'ipotesi investigativa su un possibile reato di corruzione in merito all'acquisizione del gruppo Tercas non trova conferme.

Per quanto riguarda BIM la Procura di Roma ha acquisito informazioni preliminari senza aprire indagini.

Per la Banca Popolare di Spoleto, è notizia pubblica che le relative indagini sono state chiuse con l'archiviazione. Meno noto è che la Procura di Spoleto ha avviato indagini per calunnia nei confronti degli stessi soggetti che avevano sporto la denuncia successivamente archiviata.

Anche le indagini sugli ex Commissari straordinari della CR Rimini e della Carichieti si sono chiuse con archiviazioni. Inoltre, non risultano indagini a carico dei Commissari liquidatori di Veneto Banca.

Ancora: con riferimento alla vicenda della Cassa di Risparmio di Ferrara e con specifico riguardo alle informazioni fornite alla Consob in occasione dell'aumento di capitale del 2011, l'articolo offre una ricostruzione lacunosa. Per un approfondimento è possibile vedere qui, specie da pag.5 a pag.7.

Relativamente al tema delle cosiddette "porte girevoli" - molto dibattuto nell'ambito dei lavori della Commissione d'Inchiesta sulle Banche - esistono due normative in materia, che i dipendenti della Banca d'Italia rispettano in modo rigoroso. Esse stabiliscono un regime restrittivo nel confronto internazionale. Sul tema sono state fornite accurate informazioni, disponibili sul sito istituzionale della Banca d'Italia (vedi: Il presunto fenomeno delle "porte girevoli" )

Infine, anche le affermazioni contenute nell'articolo relativamente agli organi straordinari della Banca delle Province Calabre non sono corrette; i commissari accertarono l'assenza di concrete possibilità da parte dei soci e di altri soggetti esterni di ricapitalizzare la banca.

Ci auguriamo che queste informazioni e precisazioni possano aiutare a sviluppare un dibattito consapevole e fondato su informazioni corrette e complete.

Cordiali saluti.

Gian Luca Trequattrini Capo del Servizio Segreteria Particolare del Direttorio e Comunicazione

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