I funerali di Loris, lo strazio di Veronica, i dubbi sulle indagini
Carmelo Abbate
Povera Veronica. Questo pomeriggio si terranno i funerali del figlio Loris nella chiesa di San Giovanni Battista a Santa Croce Camerina. Lei non ci sarà. Mentre tutto il paese darà l’ultimo saluto al piccolo Stival, ammazzato il 29 novembre scorso, lei rimarrà tutta sola dentro una cella del carcere di Catania, dove è rinchiusa con l’accusa di essere l’assassina. Avrebbe avuto il diritto di partecipare alla cerimonia del suo bambino la cui vita si è fermata all’età di otto anni, ma il suo coriaceo e determinato avvocato, lo scoglio a cui questa donna si sta aggrappando nel momento più difficile della sua vita, ha deciso di non presentare istanza al giudice per “motivi di opportunità”. Eppure Veronica è una persona innocente, perché anche se in questo paese tendiamo spesso a far finta di nulla, nel nostro diritto vige il principio della non colpevolezza, almeno fino a prova contraria.
La sorella e il papà
Povera Veronica, chiusa dentro una stanza con le sbarre alla finestra, mentre la sorella partecipa a tutta Italia la certezza che “è stata lei“. Convinzione che non poggia su elementi di fatto ma sensazioni. Quanto basta per farla ritenere attendibile dai magistrati quando viene chiamata a ricostruire quella che nell’ordinanza del giudice, nell’attesa di trovare un movente, viene indicata come concausa determinate: “Il fragile quadro psicologico della donna non disgiunto da un vissuto personale di profondo disagio nei rapporti con la famiglia di origine”. E intanto che la sorella diffonde il verbo mettendoci la faccia in televisione, il papà di Veronica nasconde il volto davanti alle telecamere per urlare la sua assoluta convinzione che la figlia sia innocente.
Il marito
Povera Veronica, parcheggiata se non scaricata del tutto dal marito con la poco cavalleresca formula “se è stata lei deve pagare”. La presa di posizione peggiore per una donna la cui colpa è ancora tutta da dimostrare, per una donna innamorata di un marito che non le concede il beneficio del dubbio, per una donna bambina che cresce due figli da sola mentre il suo uomo è in giro con l’autotreno e torna il fine settimana con caramelle e sorrisi per tutti. E ora che non ha più neanche un paio di mutande pulite, lei scrive una lettera amareggiata dal carcere per chiedergli “come puoi credere che io abbia ucciso nostro figlio?” e per dirgli che “io so che tu nel profondo del tuo cuore mi consideri innocente”.
Indole malvagia?
Povera Veronica, che nell’ordinanza del giudice viene descritta come una donna “dall’indole malvagia e priva del più elementare senso di umanità”, un giudizio che pesa come un macigno e che non si capisce davvero su quali basi venga ricavato. Sulle telecamere che smentiscono il racconto della donna rispetto ai fatti di quella mattina? Solo su questo? Indole malvagia priva del più elementare senso di umanità. Le telecamere dicono questo? O dimostrano al massimo che lei è una bugiarda? Forse il giudice basa il suo convincimento partendo da un presupposto di colpevolezza dell’accusata? Ma non dovrebbe essere, l’indole, ricavata alla fine dell’indagine sulla base di tutti gli elementi raccolti?
La dinamica non convince
Elementi che al momento lasciano molte perplessità. La dinamica ricostruita dai magistrati non convince. Veronica quella mattina sarebbe andata una prima volta al vecchio mulino a fare un sopralluogo del posto dove ha già deciso che getterà il corpo del figlio una volta ammazzato. Torna a casa, il luogo più rischioso in assoluto per mettere in atto il suo piano diacolico, prende il bambino, lo ammazza a sangue freddo con il rischio che i dirimpettai sentano qualcosa, poi lo spoglia, lo riveste, se lo carica in spalla, scende per tre piani di scale dove abitano numerosi inquilini, si infila nel garage, sempre condominiale, e carica il corpo del bambino nel bagagliaio. Troppo rischioso per una mente criminale.