I giovani tedeschi trovano lavoro, i giovani italiani no. Ecco perché.
-Brindiamo -A cosa?
-Al fatto che lunedì firmerò il mio primo contratto di lavoro
-Complimenti! E di che lavoro si tratta?
-In realtà ancora non lo so. Ho ricevuto due offerte. Devo decidere entro domenica quale scegliere. Uno è di marketing, mi pagano netti 2200 euro al mese, ma almeno due settimane al mese le passerei sempre girando tra il sud della Germania e l’Austria. Per l’altro mi pagano invece 1600 netti, ma si tratta di organizzare eventi e mi darebbe la possibilità di rimanere a Berlino. Ed io amo Berlino…
-Se dovessi decidere ora cosa sceglieresti?
-Il primo lavoro quello di marketing. L’altro mi paga troppo poco.
-Beh, 1600 euro netti a Berlino sono abbastanza per vivere più che dignitosamente!
-Ma io non posso prendere solo 1600 euro. Io ho fatto l’università, io ho studiato!
Venerdì sera della settimana scorsa. Mi ritrovo al tavolo con un gruppo di amici, tra cui c’è Lilian, 27 anni, una laurea (un buon voto, ma non il massimo dei voti) in Kulturmanagement a Francoforte sull’Oder. L’ultimo anno lo ha passato prima i viaggiando zaino in spalla per cinque mesi per l’America Latina (un must per i neolauerati tedeschi) e poi, per più di otto mesi, mandando richieste di lavoro per tutta la Germania, richieste sempre on ogni tipo di certificato possibile, dove si ha studiato, stage, esperienze passate, nessuna bugia, poche esagerazioni e tanta precisione (alcune richieste le ha inviate via posta ordinaria stampando ogni documento su carta bianchissima: in Germania si fa così). Nel frattempo si è mantenuta facendo la hostess in fiere e dando ripetizioni di tedesco a vari ragazzi stranieri, tra cui Marco, il mio amico che l’ha invitata alla serata. Se può avervi suonato male quell’“io ho studiato” è chiaro che, come me, provenite anche voi da un contesto in cui “l’aver studiato”, ovvero “l’essersi laureati” non è più particolare motivo di vanto. In Italia studiano tutti o almeno ci provano, anche chi (e non è detto che anche io non sia tra questi) sarebbe stato meglio che si fosse dedicato a qualcos’altro, magari ad un lavoro manuale. Si va alla laurea come si va al liceo e per differenziarsiun po’ bisogna almeno avere un master o un dottorato. Anzi, ormai neanche queste ulteriori specializzazioni aprono davvero le porte del lavoro.
I titoli di studio in Italia, se non legalmente, hanno perso valore. Valgono poco come documenti e valgono poco anche nell’opinione pubblica. Quando incontro “un laureato” non mi aspetto che sia più colto dell’artigiano sotto casa. E se è vero che, quanto a cultura, anche in Germania la situazione è la stessa e tanto i laureati che i non, hanno spesso delle voragini di ignoranza di prima categoria, quantomeno a livello sia sociale che lavorativo “i titoli hanno valore”. Non solo: fanno trovare lavoro ai giovani senza che ci sia bisogno di una spinta da qualche conoscente. Dopo aver conversato con Lilian chiedo al resto della compagnia, sia Marco che un altro ragazzo tedesco, anche lui trentunenne come me e Marco (Lilian è la più giovane), quanti suoi ex compagni di liceo abbiano un lavoro. Non parlo dei suoi compagni d’università (lui ha studiato lingue), voglio un gruppo eterogeneo di persone.“Escludendo un paio di amici, un attore e un musicista, tutti quelli con cui ho ancora contatto hanno un lavoro e vivono per conto proprio”. Chiedo che lavoro facciano: “Alcuni lavorano in banca e in finanza, uno alla Deutsche Bahn, una in una casa editrice di libri per bambini, una è una graphic designer di una startup, un paio nel marketing, una lavora alle poste e un’altra in un nido”. Quattro di loro sono già sposati, tre hanno già almeno un figlio. Penso ai miei amici. Anche io ho l’attore, anche io ho l’aspirante musicista, ma inoltre ho un amico laureato bene in economia che non trova niente, un altro che ha fatto archivistica e continua a cercare, un altro ancora disegno industriale, vorrebbe entrare da qualche parte, ma dopo stage pagati poco e in ritardo, viene sempre tagliato per far posto al nuovo stagista da sfruttare. Alcuni di loro sono miei amici. Sono persone in gamba e, soprattutto, persone per bene, di quelle che davvero dovrebbero (e lo fanno, ma non basta) ispirare fiducia ad un datore di lavoro che dopo aver verificato le loro competenze non potrebbe non aver voglia di dargli almeno una possibilità. Della mia ex classe del liceo, eravamo 27 (Liceo Farnesina), quasi tutti hanno fatto l’università, eppure molti sono ancora alla ricerca di un’occupazione che li possa far lasciare casa senza un aiuto della famiglia e che gli dia la tranquillità di progettare una famiglia. E’ vero che i giovani tedeschi quando cercano lavoro lo fanno normalmente senza porsi limiti di luogo. Salvo alcuni che decidono senza “se” e senza “ma”, di vivere a Berlino, andando incontro al peggiore mercato del lavoro in Germania (sia per stipendi, che per concorrenza), per tutti gli altri che sia Kiel, Monaco, Francoforte sull’Oder o Friburgo poco importa, prima di tutto lo stipendio. Sono normalmente abituati a vivere lontano dalla famiglia già dall’università. Gli affitti sono normalmente più sostenibili (anche nelle grandi città) che in Italia e, facendo opportune richieste, le istituzioni aiutano lo studente che non riesce a mantenersi. L’università non è più completamente gratuita come lo era un tempo, ma le rette sono comunque bassissime e dipendono anche queste da alcuni requisiti sia dello studente in questione che dell’università in cui si è scelto di andare a studiare. Il fatto è che qui non solo l’università, ma anche il liceo “non sono per tutti”. Già da bambini si cominciano a tenere in considerazione i voti conseguiti nel corso degli anni e, se a determinate età, non si ha una media alta, allora si è impossibilitati a proseguire un percorso di studio di stampo umanistico-scientifico (le eccezioni ci sono, ma dipendono sempre da casi particolari o dall’influenza economica o di potere dei genitori del ragazzo in questione) . Per chi va male a scuola fin da quando è piccolo c’è invece la possibilità di frequentare delle scuole professionali e specializzarsi in qualche mestiere: dal parrucchiere all’autotrasportatore, dall’idraulico al ferroviere. Quei lavori che in Italia abbiamo troppo a lungo visto come “umili”, hanno una loro vera dignità in Germania grazie anche al fatto che necessitano un’abilitazione che non tutti hanno. Non ci si può svegliare ed aprire il proprio studio di parrucchieri senza il cosiddetto “ausbildung”.
Il risultato di questa impostazione, assieme ad altre diecimila ragioni che conosciamo tutti, è ben riassumibile da questo dato sulla disoccupazione giovanile in questo momento:7,7% in Germania e 39,1% in Italia. I giovani tedeschi trovano lavoro, i giovani italiani no.
Che fare quindi, emigrare tutti in Germania? No, non penso che sia la soluzione giusta, almeno non per tutti visto che “da stranieri” trovare lavoro in Germania, oltretutto un lavoro che sia adatto agli studi effettuati, è difficile, soprattutto se non si parla benissimo il tedesco o non si hanno competenze più che specializzate in ambiti come l’ingegneria e l’informatica. Ciò che dobbiamo cercare di fare è cercare di capire il loro sistema e veder cosa si potrebbe prendere e portare da noi. A prescindere dai metodi d’insegnamento, il loro modo di strutturare i percorsi formativi di ogni persona porta ad una maggiore occupazione non solo in termini generali, ma anche suddivisa per professioni. Ogni lavoro ha il suo specializzato. Non sarà facile, ma se non ci proviamo in un momento di crisi come questo, quando abbiamo il diritto di rimettere tutto in discussione, quando dovremmo farlo?
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