I Neet in Italia non esistono: il 90% di loro lavora, ma in nero

In Italia la maggioranza dei giovani Neet, coloro che non studiano, né svolgono una professione né ricevono una formazione, lavora in nero, con una percentuale ancora più alta nelle grandi città. Secondo il rapporto “Lost in transition” del Consiglio nazionale dei giovani, la metà dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni, non inseriti in percorsi formativi o professionali, dichiara di essere indipendente dal punto di vista economico tramite lavori irregolari.

Da anni si parla di una platea sempre crescente di giovani (tra i 15 e i 29 anni) che non lavora e non studia e che pone il nostro Paese in cima alla classifica in Europa, per demerito: il 16,1% contro la media europea dell’11,2%. Ma una nuova ricerca (“Lost in transition” del Consiglio nazionale dei giovani) racconta una realtà molto diversa. I giovani lavorano, ma in modo sommerso, soprattutto nelle grandi città.

I Neet italiani nel 2023 erano 2,1 milioni. Per definizione sono persone tra i 15 e i 29 anni che, almeno sulla carta, non risultano inseriti in un percorso educativo, formativo o universitario, non lavorano né hanno intrapreso azioni di ricerca di impiego (Not in education, emploiment nor training). L’Italia è seconda in Europa per valore percentuale (16,1%), solo dietro alla Romania (19,8%) per numero di giovani improduttivi. Un fenomeno che costa allo Stato italiano l’1,4% circa del Pil, oltre 25 miliardi di euro l’anno.

Ma in realtà non tutti i neet sono realmente neet. Secondo il rapporto del Consiglio nazionale dei giovani (Cng) oltre 7 giovani su dieci (74,8%) classificati come neet in realtà lavora, in nero. E nelle grandi città si arriva a 9 su dieci (88,9%). La metà dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni non inseriti in percorsi formativi o professionali e residenti in città dichiara che tramite il lavoro sommerso ha raggiunto un'autonomia economica dalla famiglia. Per il 50% quindi non si tratta di lavoretti saltuari, ma di lavoro che dà indipendenza, ma fatto in modo irregolare.

Un’Italia dunque divisa: tra grandi città e provincia. La differenza in base al luogo di residenza c’è anche dal punto di vista della formazione. Il 65,3% dei ragazzi che vivono nelle metropoli ha un diploma o una laurea, contro il 9,6% dei coetanei residenti nelle aree rurali. E dove si vive influisce anche sulla socialità. Il 72% dei neet residenti in aree metropolitane incontra gruppi di pari ogni giorno. Si scende al 52% invece nelle aree interne. E per lo sport è uguale: 59,3% contro 34%. Stessa situazione per il tempo trascorso giocando ai videogiochi: 58,8% contro 35%. E cosa dicono di loro stessi i famosi Neet? Uno su tre vive la condizione di “né lavoro né studio” come una pausa temporanea e quasi la metà mostra interessa a intraprendere un'attività legata al proprio percorso di studi o ad apprendere un nuovo mestiere, soprattutto nelle città. "A differenza dei Neet delle aree metropolitane, quelli delle aree interne subiscono maggiormente l’assenza di opportunità vivendo la loro condizione con maggiore rassegnazione. Occorre ragionare sulla necessità di interventi mirati per fornire opportunità concrete e costruire reti di supporto adeguate per ciascuno. È necessario lavorare per promuovere politiche che valorizzino l’iniziativa dei giovani, offrendo loro gli strumenti e le risorse necessari per costruire un futuro più stabile" ha commentato Maria Cristina Pisani, la presidente del Consiglio nazionale dei giovani.

Quei 2,1 milioni di Neet italiani sono dunque in “pausa” e per la maggior parte dei casi, soprattutto in città, sono in realtà lavoratori in nero, precari.

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