Ibrahimovic, quando il ritiro diventa uno show

E' raro che un fuoriclasse dello sport appenda le scarpette (o qualsiasi altra cosa) al chiodo sorprendendo chi lo ascolta. Quasi sempre si tratta di addii malinconici e lunghi settimane, mesi. In alcuni casi anni. Un lungo e lento trascinarsi, il crepuscolo che per non molti diventa un tour di raccolta di applausi in giro per il mondo, onore riservato davvero solo ai grandissimi. Zlatan Ibrahimovic ha sorpreso tutti anche nell'ora del saluto.

Non lo sapeva nessuno, nemmeno la sua famiglia. Non lo sapeva Paolo Maldini che gli ha consegnato la maglia della prossima stagione consapevole, questo sì, che Zlatan non l'avrebbe mai indossata. Non lo sapeva Stefano Pioli e non lo aveva detto ai compagni nello spogliatoio. Non ne era a conoscenza nemmeno la moglie e viene da pensare che in fondo non lo sapesse nemmeno lui e che sia vero, come ha raccontato, che la scelta di fermarsi e ascoltare il proprio corpo sia stata maturata davvero solo nelle ultime settimane.

Ibra smette anche se in realtà aveva già chiuso da un po'. L'ultima volta in campo il 18 marzo a Udine con fascia da capitano e gol su rigore (il numero 573 della carriera), ma prima di quel lampo poco altro in una stagione da 144 minuti preceduta da un'altra tormentata dai problemi fisici. Le gambe e i muscoli non lo reggevano più e anche lui se n'era accorto, solo che era frenato dalla paura del dopo e così le voci lo descrivevano come intenzionato a non mollare ma a ritagliarsi uno spazio in provincia per cercare di inseguire il sogno della partecipazione all'Europeo del 2024 con la maglia della Svezia.

Se sia stato lui a staccare la spina o chi gli è intorno a metterlo nella condizione di decidere, lo scopriremo. Di sicuro l'annuncio a sorpresa in mezzo al prato di San Siro circondato da lacrime e applausi è stata l'uscita di scena perfetta per il grande Egocentrico del calcio mondiale, vincente in campo e unico nell'alimentare la propria immagine fuori. Non è da tutti parlare di sé in terza persona come Ibrahimovic si era abituato a fare e colpisce che nei minuti in cui ha annunciato il ritiro abbia rinunciato a questa forma per confessarsi in prima persona.

Ha detto che era "giunto il momento di dire ciao al calcio". Ciao, non addio. Licenza poetica di chi non ha ancora deciso cosa fare da oggi in poi ma che potrebbe avere aperte tutte le porte. Allenatore? Dirigente? Procuratore? Politico? Nulla gli è precluso a patto di fare in fretta perché 41 anni (saranno 42 il prossimo 3 ottobre) sono tanti per un attaccante ma troppi per rincorrere un altro ruolo nel mondo del pallone se non si hanno le idee chiare.

Ecco, la sfida è questa. Zlatan Ibrahimovic è stato unico in campo e ora dovrà dimostrare di saper essere se stesso anche fuori. Tanti campioni si sono fermati troppo a godersi la nuova pace senza alimentare il sacro fuoco dello spogliatoio oppure di una scrivania in un ufficio in cui si costruiscono squadre. E quando ci hanno provato il treno era passato. Ibra ha detto "ciao" al calcio e "arrivederci" ai tifosi del Milan: se è stato di parola, la sua storia sarà lunga. E non è detto che il meglio non debba ancora venire.

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