Lifestyle
February 19 2018
Testo e foto di Luca Sciortino
Te ne accorgi al sorgere del sole che sei un uomo in cammino. Man mano che vai avanti da Occidente verso Oriente le culture cambiano sotto i tuoi occhi. Ti svegli al mattino e intorno a te c'è un modo totalmente nuovo di affrontare la giornata.
"Jóreggelt" (buongiorno) mi disse un anziano contadino ungherese appena aprii gli occhi. All'orizzonte il sole faceva capolino sulla Puszta inondando di una luce tenue l'immensa pianura punteggiata da betulle. Mi misi a sedere di fronte al piccolo tavolino dello scompartimento sul quale l'anziano aveva posto alcune fettine diszalonna, il lardo salato ungherese, due fette di pane imburrate e una bottiglia dipálinka.
"Mangia che ancora la strada è lunga" mi fece capire a gesti e rise di gusto mostrando denti anneriti sotto lunghi baffi bianchi dalle punte ricurve. Ed era proprio così: la strada per il Giappone era ancora molto lunga. Arrivato a Kiev impiegai una settimana per trovare un passaggio sicuro per Hluchiv, una città vicino al confine russo, da dove raggiunsi Saratov su un autotreno.
Poi, iniziai la mia lunga traversata della steppa finché un giorno mi svegliai in un villaggio di iurte sulle montagne del Tien Shan, in Kazakistan. "Kierly tan" (buongiorno) dicevano i pastori quando s'incrociavano. Quasi tutti a cavallo e seguiti da un cane, portavano chi un vitello chi qualche pecora al pascolo. Questo era il traffico del mattino da quelle parti. E c'era anche qualche mucca che faceva da sé: usciva da una stalla e piano piano andava su lungo la strada per poi tornare la sera.
Dalle iurte si alzava un fumo leggero: erano le donne che bruciavano lo sterco secco per risparmiare sulla legna, rara nelle steppe del Kazakhstan. I cani, privati della coda e delle orecchie per avere un vantaggio nella lotta contro i lupi, si affacciavano dalla soglia timorosi e nel cielo volavano alte le aquile. In quel tepore lieve, ci si preparava al nuovo giorno.
Poi ci furono le albe indimenticabili dell'isola di Olkhon, sul lago Baikal, nella Siberia meridionale. Quell'isola era un paradiso in terra scoperto quasi per caso quando avevo dovuto deviare verso nord, in direzione Irkutsk. Dalla rocca degli sciamani il sole sembrava emergere da un oceano, tanto grande è quel lago siberiano.
"Oglööni mend" (buongiorno) dicevano nella loro lingua mongolica i Buriati che venivano lì a pregare. La luce del nuovo giorno illuminava i loro visi che somigliavano a quelli degli indiani d'America.
"Chi pregano?" chiesi a Galia, una ragazza siberiana incontrata sulla via: "Lo spirito dello sciamano, quello che un tempo veniva qui: ogni alba è un sole nuovo che sorge e che alla sera morirà per sempre, diceva, per questo dovete onorare ogni vostro giorno come fosse l'ultimo". Succede che la stessa verità te la ritrovi andando avanti, nel tuo lungo cammino attraverso il continente euroasiatico, quando sei soltanto a poco più di mille chilometri da Pechino: "Ogni giorno noi nasciamo nuovamente" mi aveva detto un monaco buddista a Ulan Bator.
"Nin hao" (buongiorno, in maniera formale) esclamò un uomo con undou lìin testa entrando in una specie di casa da tè per viandanti di un villaggio dell'etnia Miao, nel sud della Cina. Teneva in mano una gabbia di legno con un uccellino. L'appese a una trave e si mise a mangiare undim suma base di ravioli cotti a vapore econgee, un tipo di porridge di riso.
Finita la colazione, uscì e si mise a camminare buffamente per i campi facendo oscillare la gabbia. Io lo vedevo da lontano: raggiunse l'unico albero che c'era tra le risaie, appese la gabbia e si sedette a guardare il sole che si alzava alto nel cielo. In Cina si chiamaliu niao: è la pratica di far fare ginnastica ai propri fringuelli ogni mattina e lasciarli all'aria aperta a godersi l'aria fresca.
E mentre continuavo a guardarlo pensavo che viaggiare è anche questo: guardare al giorno che viene da molte prospettive differenti.