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November 08 2024
Ogni giorno, milioni di italiani si trovano a varcare la soglia di un Pronto Soccorso, alla ricerca di risposte urgenti. Ma la realtà che incontrano è ben diversa da quella che si aspettano. Camici stanchi, corridoi affollati, lunghi tempi di attesa e un sistema che, ormai da anni, scricchiola sotto il peso delle proprie carenze. La rete di emergenza-urgenza, che dovrebbe essere il cuore del Servizio Sanitario Nazionale, è ormai da anni sotto pressione. I segnali di degrado si sono accentuati soprattutto dopo la pandemia del 2020, rivelando un sistema in forte difficoltà a causa della carenza di risorse, sia in termini di personale che di infrastrutture, dovute ad un processo di indebolimento che dura da più di dieci anni. Questo ha creato un circolo vizioso che ha messo in ginocchio il sistema, costringendo i Pronto Soccorso a fronteggiare una pressione insostenibile, aggravata anche da accessi impropri e da un’assistenza che fatica a rispondere in modo adeguato ai bisogni crescenti della popolazione
Una situazione che emerge chiaramente dai dati presentati ieri a Roma dall’Accademia dei Direttori SIMEU (Società Italiana di Medicina d'Emergenza Urgenza) e dall’ultimo report di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).
Ancora una volta il dato più significativo è quello che riguarda gli accessi impropri: circa il 25-26% degli ingressi, pari a quasi 4 milioni di persone, non sono urgenti. Sono in molti, infatti a rivolgersi ai Pronto Soccorso per problemi che potrebbero essere facilmente gestiti dal medico di famiglia o da strutture territoriali, ma questi servizi sembrano incapaci di rispondere in modo adeguato, riflettendo una crescente sfiducia nei confronti della medicina di prossimità.
I Pronto Soccorso inoltre devono fare i conti con una tipologia di pazienti sempre più complessa. Il maggiore impegno gestionale riguarda soprattutto i pazienti cronici multipatologici, che rappresentano il 27% degli accessi, seguiti da coloro che necessitano di un’assistenza prevalente, come i pazienti oncologici (25%), psichiatrici (22%) e quelli con patologie assistenziali (26%). Questi pazienti, che necessitano di cure continue, occupano le strutture di emergenza, sovraccaricandole e rallentando ulteriormente il flusso dei casi urgenti. Inoltre un altro dato allarmante è che il 72% dei pazienti si è recato al Pronto Soccorso almeno tre volte in un anno. Il 41% non sa nemmeno come funziona il triage, il processo che stabilisce la priorità di cura, e il 61% non ha idea del sistema a cinque codici colore, che sarebbe invece fondamentale per gestire le emergenze. In più in molte strutture, il tempo di attesa è un incubo: il 49% delle persone ha atteso più di 8 ore prima di essere ricoverato.
L’altro grave nodo è la carenza di personale. Secondo i dati, circa il 29% dei direttori dei Pronto Soccorso segnala difficoltà nell’assicurare un numero adeguato di medici e infermieri. Non si tratta solo di numeri insufficienti, ma di un vero e proprio fenomeno di disaffezione e di fuga dal sistema sanitario pubblico. La causa principale di questa emorragia è lo stress. La demotivazione è tale che molti medici preferiscono abbandonare il pubblico per cercare alternative meno stressanti e meglio remunerate.
Alla percentuale della carenza di personale va aggiunto un ulteriore 10%, relativo agli operatori sanitari che beneficiano delle “limitazioni alle mansioni”. Come descritto in un nostro articolo del 2023, queste restrizioni impediscono agli operatori, ad esempio, di coprire turni notturni, movimentare carichi, lavorare in specifici reparti o essere reperibili, fornendo così un quadro falsato della reale disponibilità della forza lavoro.
A questo quadro preoccupante si aggiungono le aggressioni. Secondo un sondaggio della SIMEU, il 76% degli operatori sanitari ha subito aggressioni verbali, e il 64% è stato vittima di aggressioni fisiche
Eppure, nonostante l’aggressività crescente, il 34% degli episodi non viene nemmeno denunciato. Il sistema, incapace di far fronte alla mole di pazienti, è diventato anche il terreno di scontro tra la crescente disillusione dei cittadini e il personale esausto.
Anche il fenomeno del “boarding”, in costante aumento, che riguarda i pazienti costretti a rimanere nei Pronto Soccorso in attesa di un posto letto, rappresenta un’altra criticità. Il 54% delle strutture segnalano questa difficoltà, con il risultato che il sistema è paralizzato: i pazienti non vengono trasferiti nei reparti, creando un blocco che rallenta l’intero sistema.
“La nostra è un’analisi condotta con grande concretezza, dalla quale emergono le reali esigenze vissute direttamente ‘sulla pelle’ degli operatori. Va sottolineato che, sebbene temi come le aggressioni e gli accessi impropri abbiano ricevuto molta attenzione da parte dei media e delle istituzioni, e siano senza dubbio di grande rilevanza, sono comunque percepiti come meno urgenti rispetto al benessere lavorativo, allo stress da lavoro e all’intensità del lavoro nei Pronto Soccorso. Credo sia fondamentale ascoltare i professionisti, poiché sono questi i veri motivi alla base della crisi del personale, della fuga dei medici e della scarsa risposta dei giovani alla chiamata delle scuole di specializzazione.” – commenta Fabio De Iaco, Presidente SIMEU.
Un altro aspetto allarmante riguarda la gestione dei ticket per i codici bianchi, ossia per le persone che si recano al Pronto Soccorso per problemi minori. Il Veneto, ad esempio, ha registrato ricavi per oltre 14 milioni di euro grazie a questi accessi, seguita da Emilia Romagna e Toscana, con circa 7 milioni e 2,7 milioni di ricavi, rispettivamente. Invece, il Lazio, nonostante il numero elevato di accessi, ha incassato solo 67.000 euro, sollevando dubbi sulla gestione e sull’efficienza del sistema.
Oltre a questi numeri drammatici, c’è una questione di equità nell’accesso ai servizi. Circa 3,4 milioni di persone, non riesce a raggiungere un Pronto Soccorso entro i 30 minuti. Questa difficoltà è particolarmente evidente nelle regioni più periferiche e nelle aree montuose, come la Valle d’Aosta, la Basilicata e la Sardegna, dove alcune zone sono distanti anche più di un’ora dal centro di emergenza. Le difficoltà di accesso sono amplificate dal fatto che non tutte le regioni sono riuscite a implementare efficacemente le nuove strutture previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), come le Case di Comunità, che potrebbero alleviare la pressione sugli ospedali.