Il Decreto «Cura-Italia» è inadeguato, caotico, lacunoso

Il cosiddetto «decretone» sul coronavirus o «Decreto Cura Italia» si è fatto attendere. Più del necessario. Ma alla fine il DL n. 18 ha finalmente fatto la sua comparsa su una serie straordinaria della Gazzetta Ufficiale datata 17 marzo 2020.

E mentre altri paesi europei hanno messo sul piatto, immediatamente e incondizionatamente, risorse ingenti per il sostegno ai rispettivi sistemi produttivi (550 miliardi la Germania, 330 il Regno Unito, 300 la Francia, 200 la Spagna) il provvedimento si è presentato agli occhi degli operatori in tutta la sua inadeguatezza, non solo per la modestia degli stanziamenti che non superano i 25 miliardi, ma per una serie di lacune, per l'inefficacia di alcune misure e per un evidente ingiustificato squilibrio a favore degli apparati fiscali e a scapito del contribuente su una serie di disposizioni specifiche in materia fiscale.

Non è possibile passare in rassegna in modo analitico i 127 articoli che lo compongono, ma cerchiamo di capire più nel dettaglio alcune delle disposizioni più critiche, soprattutto in materia fiscale.

1. Gli aiuti alle partite IVA

Dei famosi 600 euro alle partite IVA si è parlato molto e quando questa misura è stata annunziata con tutta la possibile enfasi, le categorie interessate, prima ancora che il decreto vedesse la luce, l'hanno bollata come una elemosina poco dignitosa.

Adesso che si può leggere il testo degli art. 27 e 28 del decreto, si scopre non solo che è un'elemosina umiliante, ma che quest'elemosina va solo a beneficio solo di una parte delle partite IVA, lasciando scoperte consistenti categorie di operatori che sono stati colpiti esattamente come gli altri (e forse anche di più) in questa tremenda crisi. Il bonus, infatti, è riservato solo a chi è iscritto alla gestione separata INPS o alle gestioni speciali AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria). Tutte le categorie di operatori iscritti a casse previdenziali autonome (avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, agenti di commercio, etc.) ne sono semplicemente esclusi e in tutto il decreto non si prevede quasi nessuna forma di sostegno specifico per queste categorie.

E se è innegabile che tutte le categorie abbiano sofferto e soffriranno per effetto di questa calamità, ce ne sono almeno due che si sono trovate in prima linea per concorrere al funzionamento di servizi essenziali, come la giustizia e il fisco (per di più in concomitanza con le scadenze fiscali del periodo) misurandosi con uffici giudiziali e fiscali divenuti inaccessibili, norme scritte frettolosamente, direttive contraddittorie e in ordine sparso: gli avvocati e i commercialisti. Di queste categorie non si fa praticamente alcuna menzione nel decreto. In compenso, si lascia loro il delicato compito di comporre un puzzle di disposizioni, che come vedremo, è caotico e lacunoso, proprio in materia fiscale e giudiziaria.

2. La sospensione delle rate di mutui e finanziamenti

Anche di questa misura si è molto parlato prima della pubblicazione del decreto. L'art. 56 del prevede la possibilità di sospendere le rate di mutui, finanziamenti e leasing in scadenza fino al 30 settembre 2020 e congela fino alla stessa data la possibile revoca delle aperture di credito. Occorre che non si tratti di posizioni in sofferenza e che l'interessato presenti all'istituto erogante un'apposita dichiarazione sostitutiva. Gli importi il cui pagamento viene sospeso, verranno poi dilazionati secondo un piano rateale che non comporti oneri aggiuntivi a carico delle parti.

Il limite principale di questa disposizione consiste nel fatto che ancora una volta non si fa menzione dei professionisti, ma solo di micro imprese e piccole e medie imprese. Tuttavia, ai fini della definizione di tali categorie la norma opera un rinvio alla Raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, che di fatto include tutti gli operatori economici. E dunque, a stretta regola, anche i professionisti.

3. La proroga di scadenze e versamenti

Un'altra misura molto attesa nelle ore che hanno preceduto la pubblicazione del decreto, è quella del differimento di versamenti ed imposte.

È bene sgomberare il campo da ogni dubbio: al contribuente non viene scontato un solo centesimo. Gli viene concesso, al più, di tirare il fiato, in alcuni casi, per pochi giorni, rispetto alle scadenze, ma tutto il dovuto va pagato al centesimo.

L'art. 60 del decreto ha disposto un differimento generalizzato al 20 marzo dei versamenti alle pubbliche amministrazioni, scaduti al 16 marzo: quindi parliamo di soli quattro giorni.

Per di più, siccome il decreto è stato pubblicato dopo la scadenza del 16 marzo, molti, quelli che erano in grado di farlo, nel dubbio, hanno eseguito i versamenti dovuti.

L'art. 61 co. 2, invece, ha esteso la proroga al 30 aprile 2020 già prevista per alcune categorie di operatori (imprese turistico-ricettive, le agenzie di viaggio e turismo e i tour operator) ad ulteriori categorie di operatori (soggetti operanti nei settori dell'arte e della cultura, dello sport, della ristorazione, dell'educazione e dell'assistenza, nel settore dei trasporti, etc.) ma solo per alcuni tipi di versamenti: e cioè, versamenti delle ritenute alla fonte e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché dei premi per l'assicurazione obbligatoria.

Insomma, comunque il tutto si risolve in una manciata di giorni di moratoria, mentre è ormai chiaro a tutti che l'emergenza durerà ben oltre il 4 aprile.

Infine, all'art. 62 si prevede la sospensione fino al 31 maggio 2020 per gli adempimenti diversi dai versamenti e dall'effettuazione delle ritenute alla fonte per l'addizionale regionale.

Inoltre imprese e professionisti con un fatturato non superiore ai 2 milioni nel 2019, possono giovarsi della sospensione di una serie di versamenti (ritenute alla fonte, IVA, contributi previdenziali e assicurazione obbligatoria) fino al 31 maggio, con possibilità di rateizzazione fino a 5 rate mensili di pari importo. Il limite di fatturato, però non opera per le imprese aventi sede nelle Province di Bergamo, Cremona, Lodi e Piacenza.

In pratica l'unico vero «sconto» concesso è quello previsto dall'art. 65 del decreto che consente a botteghe e negozi di giovarsi di un credito di imposta pari al 60% dell'ammontare del canone di locazione, per il solo mese di marzo 2020, e solo per gli immobili rientranti nella categoria catastale C/1. E attenzione: questo credito di imposta potrà essere utilizzato solo mediante ricorso alla compensazione dei debiti tributari.

Insomma, parliamo di pochi giorni di tregua e di pochi spiccioli, per attività che hanno subito un'improvvisa paralisi e l'azzeramento violento dei loro fatturati. Un blocco alla cui gravità forse avranno anche concorso le iniziali sottovalutazioni della calamità che stava per abbattersi sul paese e sul globo intero.

4. Il puzzle dei termini

La parte forse più controversa del decreto è costituita dall'insieme delle disposizioni che disciplinano la sospensione di termini relativi ai contenziosi tributari e ai procedimenti amministrativi di natura fiscale.

Il precedente DL 11/2020 aveva creato una notevole confusione, in particolare sulla sospensione dei termini processuali nel contenzioso tributario: a causa della formulazione inspiegabilmente tortuosa delle norme, infatti, mentre i termini di processi civili e penali risultavano effettivamente sospesi, secondo la maggior parte degli operatori, non era per niente scontato che la sospensione operasse anche per i processi avanti le commissioni tributarie.

Il DL 18/2020 è intervenuto sul punto, ma occorre dire, non in modo decisivo: l'art. 83 che disciplina la sospensione dei vari procedimenti giudiziari, infatti, dispone esplicitamente la sospensione dei termini per la proposizione dei ricorsi di primo grado avanti le commissioni tributarie provinciali, ma non menziona i restanti termini (dall'iscrizione a ruolo, alle impugnazioni alla Commissione Tributaria Regionale, alle riassunzioni, ai termini per la presentazione delle memorie) affidandosi ad una clausola che si presta a interpretazioni equivoche, laddove stabilisce che le disposizioni sulla sospensione dei termini previste per gli altri procedimenti sono applicabili anche ai procedimenti avanti le commissioni tributarie «per quanto compatibili».

La sospensione, ad ogni modo, opera dal 9 marzo al 15 aprile.

E qui abbiamo un primo macroscopico problema: mentre al contribuente (anche a darne per scontata la piena applicazione a tutte le attività processuali) la sospensione è concessa fino al 15 aprile, una diversa norma dello stesso decreto, cioè l'art. 67, concede agli enti impositori (quindi al Fisco), un termine molto più lungo: esattamente, fino al 31 maggio.

Una palese violazione del cosiddetto principio di parità delle armi sancito dall'art. 111 comma 2 della Costituzione, in materia di giusto processo.

Non solo: il comma 4 dell'art. 67, con una formulazione particolarmente subdola, che non menziona esplicitamente il concetto di proroga o differimento, ma opera un richiamo all'art. 12 D.Lgs. 159/2015, si stabilisce in sostanza che i termini di prescrizione e decadenza delle attività di accertamento e riscossione vengono prorogati fino al 31 dicembre del secondo anno successivo alla fine del periodo di emergenza.

Quindi, in soldoni, al contribuente non si sconta nulla, o quasi, si concedono pochi giorni di proroga sulle scadenze fiscali, ma questo legittima il fisco ad allungare i termini per emettere atti di accertamento e per tenere appesa la spada di Damocle degli atti di riscossione sulla zucca dei contribuenti per due anni in più.

Ora, se questa è la risposta che lo Stato è in grado di esprimere alla calamità, non resta che constatare che, almeno in materia fiscale, è ben poca cosa. Soprattutto se si considera che quando la nottata sarà passata le imprese italiane si troveranno a competere con concorrenti europei e mondiali che hanno potuto contare su ben altro supporto dai loro governi.


info@lucianoquarta.it

YOU MAY ALSO LIKE