EPA/TANYA BINDRA
News

Il dizionario dell'Islam e degli jihadisti

Per Lookout news


Daesh: (anche traslitterato Daa’ich o Daech) proviene dall’acronimo arabo “al-Dawla al-Islamiya fi al-Iraq wa as-Sham” (Stato Islamico in Iraq e nel Levante). Sembra essere considerato un insulto dai sostenitori del Califfato in quanto, a seconda di come coniugato, il termine potrebbe significare anche “calpestare” o “schiacciare”. Per questo motivo alcuni governi arabi hanno insistito affinché anche gli occidentali adottino questo appellativo piuttosto che il più accattivante “Stato Islamico”, anche per depotenziare la visione secondo cui l’organizzazione di Abu Bakr Al-Baghdadi è in tutto e per tutto un’entità statuale.

ISIS o ISIL: è l’acronimo inglese per “Stato Islamico in Iraq e nel Levante” (dove per Levante s’intende qui la regione storica della grande Siria). Questa è la denominazione che il gruppo terroristico in questione – noto prima come AQI (Al Qaeda in Iraq, sotto la guida di Abu Mus’ab al-Zarqawi) e poi come ISI (Stato Islamico in Iraq, sotto la guida di Abu Ayyub al-Masri) – ha assunto a fine 2013 sotto il comando di Abu Bakr al-Baghdadi, quando ha esteso le proprie mire espansionistiche dall’Iraq alla Siria.

Dabiq: è la rivista propagandistica dell’ISIS in lingua araba e inglese, diffusa via web. Il primo numero risale al luglio 2014. Il nome del magazine fa riferimento all’omonima località nella Siria settentrionale, Dabiq, che è menzionata in un ḥadith di uno dei più accreditati trasmettitori, Muslim ibn al-Hajjaj al-Naysaburi. Secondo questa tesi, a Dabiq avverrà l’apocalittico scontro finale tra musulmani e miscredenti, che sancirà il trionfo definitivo dell’Islam sulla Terra.

Wilaya: è il nostro corrispettivo di “provincia”. Indica le località che sono entrate a far parte dello Stato Islamico, sia quelle conquistate in territorio siro-iracheno, sia quelle fuori dai confini del Califfato dove sono attivi gruppi jihadisti che hanno dichiarato fedeltà al Califfo (come ad esempio la Provincia del Sinai in Egitto o quella di Barqa in Libia).

Khilafa: “Califfato”. È la forma di governo istituita da Abu Bakr Al-Baghdadi in Iraq e Siria, che riproduce e si rifà ai grandi califfati della storia dell’Islam sunnita.

Jizia: “imposta di capitazione”. È la tassa che, nel periodo delle grandi dinastie califfali islamiche (VII-XIII secolo), i sudditi non musulmani dovevano corrispondere alle autorità musulmane in cambio di protezione (dhimma). I cristiani, ad esempio, secondo l’ISIS possono vivere sotto il Califfato a patto che versino la Jizia.

Da’wa: “appello, invito, predicazione”. È l’attività di proselitismo ovvero di “invito” all’Islam, considerato un dovere per ogni musulmano.

Nashid: inno o poema musicale con riferimenti religiosi. Lo Stato Islamico ne ha fatto un uso propagandistico sistematico e potente, convertendo quest’usanza tradizionale alle più moderne forme d’arte e di comunicazione, ad esempio utilizzando versi di famosi rapper e sfruttando il canale web YouTube per la diffusione dei suoi versi. Il nashid è sempre il sottofondo dei video di propaganda dell’ISIS.

Takbir: indica l’espressione in arabo “Allahu Akbar” (ovvero “Dio è il più grande”), impiegata in numerose occasioni per enfatizzare la fede islamica, dalla chiamata alla preghiera del muezzin dal minareto, alle cerimonie religiose e alle manifestazioni di massa. Oggi è tristemente collegata alle esclamazioni di giubilo durante le esecuzioni e gli attentati jihadisti.

Salafiyya: “salafismo”, proviene dal termine salaf ovvero “antenati”. Il salafismo è un movimento ultra-conservatore dell’Islam sunnita che si rifà alle origini della predicazione maomettana. Si divide in due grandi rami: quello quietista (o purista), che predica una forma ascetica dell’Islam, e quello invece più attivo e impegnato nei moderni processi politici (come il partito salafita egiziano Al-Nour). Di recente si è venuta a creare anche una terza categoria, quella del jihadismo salafita, per dare conto di quei gruppi ultra-tradizionalisti che hanno scelto la via delle armi e della violenza. Ne sono esempio la Gamaa al-Islamiya egiziana attiva negli anni Novanta e la più recente Ansar Al-Sharia tunisina. Rientra nell’ideologia salafita anche il wahhabismo dell’Arabia Saudita.

Kufr: “miscredenza” da cui kafir (pl. kuffar), “miscredente”. Il miscredente è colui che nega l’esistenza di Dio e non crede nei suoi insegnamenti. Si tratta di una categoria che in teoria non include cristiani ed ebrei (definiti nel Corano Ahl al-Kitab, ovvero la “gente del Libro”). Ciò nonostante, da Bin Laden in poi il jihadismo estende il concetto di miscredenza a tutto l’Occidente.

Takfirismo: ideologia affermatasi soprattutto negli ultimi anni, secondo cui alcuni musulmani accusano altri musulmani di empietà o di apostasia, condannandoli a morte ed eseguendone l’esecuzione.

Takfiri è colui che aderisce a questa visione estremista. Deriva dal termine takfir, pronuncia islamica di massima empietà che, in epoche precedenti, comportava l’ostracismo dalla comunità di appartenenza. Storicamente nasce in Egitto negli anni Settanta da una scissione interna alla Salafiyya, sotto la guida spirituale di Sayd Qutb.

Shirk: “politeismo”, da cui mushrik “politeista”. Si riferisce a colui che commette idolatria venerando più di una divinità e contravvenendo così alla fede del monoteismo (tawhid). Si tratta di uno dei peccati più gravi per l’Islam.

Ridda: “apostasia”, da cui murtadd “apostata”. È colui che rinnega la propria fede e costituisce uno tra i peccati più gravi secondo la teologia islamica. È sanzionabile anche con la pena di morte, sebbene alcune correnti sunnite più moderate prevedano in alternativa pene come la reclusione e la semplice riflessione.

Munafiq: “ipocrita”. È colui che, pur essendo musulmano, non si comporta da credente o che pur praticando l’Islam non lo fa con la fede e la convinzione necessarie. Nell’uso comune, questo termine è affibbiato dai gruppi jihadisti e dai movimenti salafiti ai governi arabi dei loro stessi Paesi, le cui leadership sono considerate vicine all’Occidente e devianti dalla vera fede.

Taghut: (pl. tawaghit) letteralmente “ribelle” o “colui che supera i limiti”. Per estensione, è usato nel linguaggio jihadista per indicare i “tiranni” ovvero i governatori dei Paesi arabi che si fanno idolatrare e per questo considerati empi.

Mujahid: “combattente”, colui che compie il jihad. Come noto, il significato più ampio di jihad è quello di “sforzo” (non solo fisico ma anche morale), quindi per estensione il mujahid è colui che si impegna, che compie un dovere. L’uso mediatico del termine dagli anni Novanta in poi ha di fatto identificato i mujahiddin con i combattenti islamici, così come ha (erroneamente) identificato il jihad con la “guerra santa” (o guerra giusta).

Dar al-Islam: letteralmente “casa dell’Islam” ovvero le terre nelle quali è professato l’Islam come religione di Stato o religione di maggioranza e identificate nella dottrina jihadista come i territori dove vige la pace (Dar as-Salam) e dove il jihad è invocato solo in caso di aggressione.

Dar al-Harb: letteralmente “casa della guerra” ovvero le terre nelle quali l’Islam non è religione maggioritaria o di Stato. Nella dottrina jihadista sono i territori in cui portare la guerra per imporre l’Islam.

Jund: “soldato” (pl. Junud). Spesso i gruppi armati jihadisti usano questo appellativo come loro denominazione (Junud as-Sham, Jund Allah).

Ansar: “ausiliari” (linguaggio militare), “seguaci, sostenitori”. Storicamente il termine si riferisce ai primi convertiti da Maometto, i gruppi armati jihadisti usano questo appellativo come loro denominazione (Ansarullah, Ansar as-Sharia).

Shahid: letteralmente “testimone”, per estensione e uso comune “martire”. In arabo infatti gli attentati suicidi sono definiti amaliyat al-istishadiya (letteralmente “operazioni di testimonianza”, o “operazioni martirio”).

Shahada: “professione di fede”. È l’enunciazione del tawhid (monoteismo) e rappresenta il primo dei cinque pilastri dell’Islam ovvero riconoscere che “non vi è altra divinità all’infuori di Dio”. È anche la scritta che compare sulle bandiere nere dei gruppi jihadisti.

Salat: “preghiera”. Secondo dei cinque pilastri dell’Islam.

Zakat: è un’imposta di “purificazione”, un’elemosina obbligatoria che il musulmano pio deve versare annualmente in base alle proprie disponibilità. È il terzo dei cinque pilastri dell’Islam.

Ramadan: è il mese sacro del digiuno (sawm), che è obbligatorio per il buon musulmano (in salute) in quanto rappresenta il quarto pilastro dell’Islam.

Hajj: “pellegrinaggio” alla Mecca, è il quinto dei cinque pilastri dell’Islam che il fedele dovrebbe compiere almeno una volta nella vita se nelle condizioni di farlo.

Umma: “comunità”, “nazione”. È usata per identificare l’intera comunità musulmana.

Corano: libro sacro dell’Islam e prima fonte della Legge islamica (Shari’a). Rappresenta il messaggio rivelato da Allah al suo profeta Maometto.

Hadith: “detti”, “narrazioni” riferito ai comportamenti del Profeta. Corrisponde all’incirca a ciò che per il cristianesimo è una parabola. L’insieme degli hadith forma la Sunna, ovvero la “consuetudine” comportamentale da seguire. La Sunna rappresenta la seconda fonte della Legge islamica dopo il Corano.

Sunna: “sunnismo” corrente maggioritaria dell’Islam (85-90%).

Shi’a: “sciismo” corrente minoritaria dell’Islam (10-15%) principalmente rappresentata dall’Iran.

Imam: guida morale e spirituale, colui che conduce la preghiera, dotto musulmano. Nell’Islam storico è anche il capo della comunità, pertanto nel credo sunnita sinonimo di Califfo. Nel credo sciita l’Imam ha un’aura anche più nobile in quanto vanta discendenza diretta dal Profeta.

Ayatollah: guida spirituale sciita, titolo di rango elevato riservato al clero sciita.

Mufti: giurisperito musulmano, colui che è ufficialmente autorizzato a emettere una fatwa (responso giuridico o sentenza religiosa basati sulla Shari’a). Per i sunniti è considerata la massima espressione giuridica ed esegetica islamica.

Ulema: studioso dell’Islam e, più in generale, esperto delle scienze religiose.

Halal: “lecito” ovvero conforme ai precetti della religione islamica. Attiene al comportamento, all’alimentazione, all’abbigliamento e alle altre sfere della pratica comune.

Haram: “proibito” ovvero considerato illecito in base ai precetti della religione islamica. Come il suo antonimo (halal), attiene al comportamento, all’alimentazione, all’abbigliamento e alle altre sfere della pratica comune.

YOU MAY ALSO LIKE