News
June 05 2017
"I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere". Ho ripescato questa frase di Sun Tzu da L’arte della guerra per tentare di far comprendere perché, al punto in cui siamo, è necessario accorciare i tempi della legislatura e votare in anticipo rispetto alla primavera del 2018. Iniziamo da tre fattori, due accaduti e uno prossimo.
Insediato all’inizio di quest’anno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rimescolato e sconvolto i canoni di politica internazionali ai quali eravamo abituati: dal fondamentale capitolo del commercio al ruolo della Nato, dai rapporti con Europa, Russia e Cina fino alla gestione delle crisi in Medio Oriente.
Secondo accadimento: l’elezione di Emmanuel Macron in Francia con l’immediato riposizionamento in asse con la Germania.
Terzo fattore, quello prossimo, sono le elezioni in Germania fissate per il 24 settembre: Angela Merkel ha già iniziato la battaglia per essere riconfermata promettendo di ripensare l’Unione europea sempre più in chiave germanocentrica e con l’ambizione di completare il disegno imponendo la successione di un tedesco a Mario Draghi quando, nel 2019, il banchiere italiano dovrà comunque lasciare la guida della Banca centrale europea.
Bene, possiamo permetterci di boccheggiare per altri nove mesi con un governo ostaggio di Angelino Alfano (dico Alfano...)? Ovviamente no. E non possiamo neppure pretendere di avere ascolto ai tavoli che contano senza un governo finalmente legittimato dal popolo dopo quattro esecutivi partoriti dal palazzo negli ultimi sei anni e sostenuti anche dai peggiori voltagabbana che la storia repubblicana ricordi (senza offesa per l’inarrivabile Gianfranco Fini, ovviamente).
In Europa, per tornare a Sun Tzu, siamo andati in guerra con un guerriero sconfitto che poi cercava di vincere: Matteo Renzi a Bruxelles mostrava i muscoli, minacciava sfracelli, ammainava perfino la bandiera dell’Ue. Ma dietro di lui, premier non eletto e prodotto di una congiura di partito, non c’era il Paese e il dettaglio appariva fin troppo evidente a tutti i suoi interlocutori: era debole, solo chiacchiere e distintivo, altro che "untouchable".
Molto folcloristico, ma nulla di più. Ora si può e si deve voltare pagina, occorre presentarsi all’Europa e al mondo con un governo che "sia" la voce del popolo. Il sistema proporzionale che si sta perfezionando obbligherà i partiti ad allearsi, assai difficilmente uno solo riuscirà ad agguantare la maggioranza assoluta. Non è un dramma.
L’esempio della Germania che fin dal 1965 ha sperimentato le grandi coalizioni e che ancora oggi poggia su un’alleanza tra centrodestra e centrosinistra, ci dice che non di inciucio si tratta ma di politica virtuosa. A patto che il programma di governo sia definito nei dettagli, come avvenuto a Berlino. Si può fare, si deve fare. Altrimenti avremo perso la guerra, invero già seriamente compromessa, con il futuro.