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July 16 2013
A testimoniare che l'intero governo, proprio tutto l'esecutivo di larghe intese, faccia quadrato su Angelino Alfano, poco dopo le 18 arriva in aula al Senato e si siede ai banchi del governo anche Cécile Kyenge, alla quale Roberto Calderoli, il vicepresidente di Palazzo Madama che l'aveva insultata, prontissimo va a stringere la mano. Alla fine l'assalto di Sel e Cinquestelle al ministro dell'Interno, nonché vicepremier e segretario del Pdl (l'altra metà dell'esecutivo) si conclude con qualche battutaccia del tipo "meglio Calderoli che Alfano" o con l'ossessivo ripetere: "Alfano non poteva non sapere" del pasticciaccio kazako. E invece no, il ministro con tono risoluto smonta subito il teorema che gli volevano cucire addosso. E dice chiaramente che per la prima volta "il ministro dell'Interno e un intero governo non sono stati informati". Questo "non deve accadere mai più".
Annuncia, il ministro dell'Interno, che procederà alla riorganizzazione dei vertici dell'immigrazione, del dipartimento di Polizia. Assicura che farà tutto quanto "è in mio potere" per i diritti civili e il rientro delle due donne espulse (moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov). E annuncia naturalmente il rotolamento delle prime teste. Alfano accetta le dimissioni del capo di Gabinetto Giuseppe Procaccini e chiede l'avvicendamento del capo del dipartimento di pubblica sicurezza, il prefetto Alessandro Valeri. Su come sia andata alla fine dello scorso maggio l'espulsione dall'Italia ("regolare ma non ordinaria, non seguita dal dipartimento di Ps ma da organi territoriali", come la questura di Roma) di Alma Shalabayeva e disua figlia, Alfano legge l'intero virgolettato del rapporto consegnatogli dal capo della Polizia Alessandro Pansa.
Il punto saliente dell'inchiesta è che "è evidente che non tutte le informazioni sono state portate all'attenzione del ministro Alfano", scrive Pansa nella relazione. Perché? Spiega il testo: il dipartimento di Pubblica Sicurezza ha seguito la procedura necessaria "solo fino a un certo punto, come se dovesse rispondere solo della cattura della latitante Ablyazov (e quindi non anche dissidente politico, ndr) e ha trattato il caso "con valore di ordinarietà brurocratica". E così purtroppo non era. Quindi Alfano e l'intero governo non sapevano. Cosa che non dovrà più accadere, promette risoluto Alfano. Ora il Pd dovrà decidere domani, mercoledì 17 luglio, come votare sulla mozione di sfiducia presentata dai Cinquestelle e da Sel. Ma sembra chiaro sin da ora che non voterà contro Alfano. Se lo stesso Corradino Mineo, senatore del Pd e considerato un fan del governo con i Cinquestelle, in serata si limitava a dire che la difesa del ministro "è debole", è evidente che il Pd non intende farsi trascinare in una guerra che considera già persa in partenza. E poi si chiama Matteo Renzi e non Guglielmo Epifani il più indiziato in questa caso di voler far saltare tutto e andare al voto.