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Il lungo percorso delle mascherine che arrivano in Italia senza la certificazione

Alcune settimane fa per La Verità siamo stati (https://social.laverita.info/dogana-malpensa) a Malpensa Cargo City per documentare come avviene lo sdoganamento del materiale sanitario, in particolare mascherine, che arriva in Italia dall'estero, soprattutto dalla Cina. Con la responsabile dell'ufficio antifrode della dogana dello scalo milanese, Tiziana Robustelli, abbiamo seguito tutta la trafila e visto come dal momento in cui atterra l'aereo alla partenza dei tir carichi di mascherine passino poche ore, a patto che sia tutto a posto con i documenti e le certificazioni.

Eventualità che nella maggior parte dei casi, però, non si verifica, come ci ha spiegato il direttore dell'ufficio delle Dogane dell'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Roma 2. Con Davide Miggiano abbiamo approfondito infatti cosa accade una volta che l'iter di sdoganamento è stato completato. Succede che, anche quando la merce abbandona lo scalo, il lavoro della dogana non è finito e comincia una seconda fase di controlli a posteriori che può durare fino a 3 anni dal momento in cui viene effettuata l'importazione.

Grazie all'articolo 15 del decreto legge numero 18 del 17 marzo 2020, la merce può comunque essere importata sul territorio anche senza le certificazioni Ce, a patto che poi tale merce venga sottoposta alla validazione dell'Inail, se si tratta di Dpi, o dell'Iss se sono mascherine chirurgiche. «Abbiamo avviato dei controlli a posteriori su una serie di partite di importazioni precedenti che hanno usufruito del beneficio di questa normativa straordinaria. Noi in questa seconda fase dell'emergenza stiamo effettuando tutti questi controlli e diciamo che un po' di sorprese e irregolarità da segnalare in procura le abbiamo trovate» spiega Miggiano. Gli importatori, infatti, avrebbero dovuto trattenere la merce ferma fin quando l'Inail o l'Iss non gli avesse dato il parere favorevole per l'utilizzo. Circostanza spesso non verificatasi, come ci racconta il direttore dell'ufficio delle Dogane dello scalo romano. «Ci si è inventato di tutto, dal silenzio assenso che non c'era ad altre cose. Diciamo che la situazione non è proprio serena da questo punto di vista. Per esempio abbiamo avuto delle macchine per produrre mascherine importate su ordine del commissario straordinario che sono andate in delle carceri e non erano a posto con la documentazione. Noi le abbiamo dovute fermare fino a quando non è arrivata la conformazione da parte del ministero dello Sviluppo economico».
In un primo momento, quello iniziale in cui le condizioni sanitarie legate all'emergenza coronavirus imponevano di svincolare il materiale sanitario in brevissimo tempo, i controlli sui carichi destinati alla protezione civile donati dallo stato cinese con la supervisione dell'ambasciata italiana erano snelli e hanno influenzato il lavoro degli uffici doganali spingendoli ad adottare procedure più veloci. «Con l'introduzione dell'articolo 15 rispetto al passato - continua Miggiano - la differenza è stata tracciata proprio da questa normativa che ci dice che si possono ammettere sul territorio cose che prima non si potevano ammettere, poi però dobbiamo continuare a vigilare affinché le condizioni si realizzino, e per noi è diventata anche una questione deontologica. Abbiamo dovuto confrontarci con una situazione che prima non esisteva e quindi dobbiamo occuparci di questa materia creando prassi che prima non esistevano, contattiamo gli importatori che hanno importato merci da sanare e chiediamo se le hanno sanate, se non lo hanno fatto andiamo a vedere dove hanno messo quelle merci e che cosa ne vogliono fare».
In condizioni normali e con tutta la documentazione corretta i tempi di sdoganamento non sono molto lunghi, ma nella maggior parte dei casi queste condizioni non si verificano. «In questo momento, non solo da parte nostra, ma anche dalla Guardia di finanza e dai Nas, c'è un'attenzione molto importante rispetto all'idoneità della merce, diamo sempre un occhio al fatto che segua il percorso corretto per quanto riguarda le sue certificazioni, perché ci sono delle aziende che producono certificati approssimativi che inducono in errore chi acquista le mascherine. Quel tempo che si perde lo si perde per indirizzare l'importatore a un percorso corretto, anche per evitare che vada incontro inconsapevolmente a reati se dovesse venderle senza la giusta certificazione» conclude Miggiano.



























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