Il problema del credito che tutti hanno dimenticato

Durante la campagna elettorale di un Paese economicamente allo sfascio, non ho sentito nessun Segretario di Partito parlare del tema più importante per la gestione urgente del nostro sistema economico; il credito bancario. In un Paese fatto di micro e piccole imprese, non governare quel sistema è sintomo di non poter governare il Paese.

Il primo errore strategico è accettare che, dopo che ci hanno smembrato il sistema industriale italiano, svenduto agli stranieri a prezzo di saldo, succeda lo stesso con i resti del sistema bancario. Gran parte ormai è già andato, nell’ignoranza della gente; basterebbe guardare chi sono i primi dieci azionisti delle maggiori banche italiane, per scoprire che, di italiano, non hanno più nulla. Sono detenute da fondi speculativi, spesso internazionali, non di rado d’oltreoceano.

Il secondo errore è dei politici. Per paura di essere definiti retrogradi, populisti, conniventi con il sistema del presunto malaffare bancario locale, molti di loro si sono prestati al presunto disegno di progresso; servirebbero poche banche internazionali, più grandi, più solide, più sicure. Ma è evidente come l’Oligopolio, da sempre, non sia affatto sinonimo di progresso.

Il terzo errore è cadere nella trappola informativa deviata, fatta di racconti continui di solo malaffare, quasi che il sistema delle banche locali sia fatto solo di casi di indebita mala gestio, e non di normale erogazione di credito. Soprattutto, il politico ha ormai paura e vergogna di affermare la verità; il sistema della banca locale è l’unico veramente interessato al sostegno dell’economia locale. Non per un fatto di bontà o di morale, ma per un semplice motivo economico; il suo conto economico dipende da quello del sistema locale. Chiunque affermi che la stessa cosa possa dirsi per una banca multinazionale sbaglia o è in mala fede.

Il quarto errore strategico è accettare supinamente, in politica nazionale, il pressing del potere finanziario internazionale. Così, nel silenzio assordante, è passata a colpi di Decreto la pessima riforma Renzi sulle banche popolari, con parametri di obbligo di trasformazione delle popolari che non hanno fondamento scientifico né normativo in nessuna parte d’Europa e del mondo. L’hanno spacciata come un fatto di progresso, laddove in nessun altro Paese del mondo si sarebbero sognati di distruggere un sistema che aveva una storia centenaria di successo nella tradizione popolare, cattolica e sociale, del sistema italiano, fatto di soggetti deboli, cioè di piccole e micro imprese. Quel sistema di banche locali ha consentito – non lo si dimentichi! – di sostenere e far nascere le vere imprese italiane, laddove le grandi banche chiudevano le porte. Enzo Ferrari, per fare un solo nome.

Il quinto errore strategico è lasciare che di questo tema, apparentemente tecnico, si occupino soltanto i presunti tecnici. Così, lasciando indebito spazio ai burocrati, si spiega la sudditanza del sistema politico italiano ai dettati dittatoriali di una BCE che impone di parlare solo di NPLs (non performing loans), obbligandoci a svendere crediti ingrassando i bilanci di banche speculative, senza nulla dire invece delle montagne di derivati tossici presenti negli asset, impalpabili e imponderabili, delle banche tedesche e francesi, che costituiscono una bomba esplosiva dodici volte più grande.

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