Il razzismo, uno dei peggiori mali di questo tempo
Sappiamo tutti di George Floyd, afroamericano ucciso alcuni giorni fa dalla polizia a Minneapolis negli USA. Ma forse non tutti sanno che il razzismo (non solo nei confronti dei neri) affonda le sue radici molto lontano, nel mondo anglosassone.
I protestanti inglesi sono stati autori di un vero e proprio genocidio della popolazione cattolica irlandese: li ridussero alla fame (tanto che si nutrivano di cadaveri) e li vendettero come schiavi nelle colonie americane. Ancora nel 1798, sotto il regno di Giorgio III di Hannover, la tratta degli Irlandesi era in atto: in quel solo anno, per esigenze di navigazione, è documentato che gli schiavisti si sbarazzarono di almeno 1302 schiavi irlandesi gettandoli vivi nell'Oceano Atlantico.
Nel 1897 Robert E. Peary, esploratore statunitense, riportò dall'Artico alcuni membri del popolo Inuit, cinque adulti e un bambino, che espose a pagamento presso il Museo di Storia Naturale di Manhattan; così come più tardi, nel 1904, a Saint Louis, durante le cd. Giornate Antropologiche sarà esposto al pubblico il pigmeo Ota Benga, nativo del Congo Belga, di proprietà (sic!) di un missionario protestante.
Gli anglosassoni, infatti, aderirono in modo particolarmente convinto alle teorie razziste darwiniane: ne sanno qualcosa i "Nativi americani" che sono stati di fatto sterminati ed è a tutti noto che la schiavitù fu abolita solo nel dicembre del 1865.
Nell'ambito della Terza Olimpiade Moderna, comunque, ancora nel 1904, in Saint Louis, una serie di competizioni erano riservate a "razze inferiori" che si cimentarono sia in specialità "civilizzate" sia in competizioni "selvagge".
Anche Margaret Sanger, che nel 1916 ha fondato la Planned Parenthood, era una convinta eugenista (come lo era la sua "omologa" inglese, Mary Stopes), che non solo sosteneva nazisti e razzisti, ma offriva loro, attraverso la sua Birth Control Review, un'ampia cassa di risonanza per propagandare le loro idee. Nel suo libro "Woman and the new race" (La donna e la nuova razza), la Sanger scrisse: "[Noi dovremmo] applicare una politica severa e rigida di sterilizzazione e segregazione alla parte di popolazione la cui progenie è contaminata, o la cui eredità è tale che le caratteristiche sgradevoli possano essere trasmesse alla prole." E nel suo "American Baby Code" (Codice del bambino americano), la Sanger ha scritto: "Bisogna dare ai gruppi disgenici [persone con "geni cattivi", n.d.t.] presenti nella nostra popolazione la scelta tra la segregazione o la [obbligatoria] sterilizzazione".
Eppure, su Twitter, Alexis McGill Johnson, amministratrice delegata della Planned Parenthood, ha colto l'occasione dell'assassinio di George Floyd per attaccare i prolife come "suprematisti bianchi", razzisti, che vogliono controllare i corpi delle donne di colore.
Ed è veramente singolare che la International Planned Parenthood abbia preso questa posizione contro il razzismo. Non solo per le sue origini, mai rinnegate, ma perché dai suoi rapporti annuali, la multimiliardaria industria abortista risulta responsabile dell'eliminazione di più persone di colore in America di qualsiasi altra causa di morte.
Sappiamo tutti che l'aborto è una tragedia e che dovremmo tutti, soprattutto lo Stato, essere vicini alle mamme in difficoltà economiche e sociali tentate di non permettere al proprio bambino di nascere. Soprattutto alle donne che appartengono alle categorie socialmente più fragili. Invece, in media, secondo le statistiche ufficiali del CDC (Center for Disease Control and Prevention: centro per il controllo e la prevenzione delle malattie) questa tendenza razzista degli aborti sembra proprio evidente.
Nelle cliniche Planned Parenthood vengono abortiti 247 bambini di colore ogni giorno. Ryan Bomberg, della associazione Radiance Foundation, che difende le persone di colore in America, ha dichiarato che "l'aborto è il principale responsabile della fine delle 'vite nere' in America e che supera di gran lunga le altre prime 15 cause di morte messe insieme".
I dati dell'ultimo censimento indicano che gli afroamericani rappresentano circa il 13 percento della popolazione degli Stati Uniti, ma rappresentano quasi il 40 per cento di tutti gli aborti. E le statistiche sanitarie di New York City indicano che in città vengono abortiti più bambini afroamericani di quanti ne nascano ogni anno. Una ricerca di 'Protecting Black Life' (proteggere la vita degli afro americani) ha scoperto che il 79 percento delle cliniche della Planned Parenthood si trova presso i quartieri dove vivono le minoranze ispaniche e afroamericane. Anche Alveda King, nipote di Martin Luther, ha dichiarato in più occasioni che l'International Planned Parenthood Federation è la attuazione pratica più coerente dell'ideologia razzista.
Nella civile Gran Bretagna, dove la popolazione di colore è pari al 3,3%, le donne non bianche che abortiscono costituiscono il 9% del totale.
Del resto ancora oggi la politica dell'Onu e delle sue agenzie, prime fra tutte l'Unfpa, il fondo per il controllo della popolazione, dietro alle loro campagne altisonanti contro il razzismo (e per i diritti delle donne), di fatto indirizzano la loro propaganda antinatalista soprattutto nei Paesi poveri del sud America e dell'Africa: i poveri andrebbero aiutati, non eliminati. Uno degli episodi più eclatanti è stato denunciato nel 2014 in Kenya: oltre due milioni di donne, a loro insaputa, hanno ricevuto vaccini antitetanici dall'Unicef che hanno insospettito i medici locali, infatti contenevano un componente che procura l'aborto, l'antigene beta Hcg, già utilizzato in passato per analoghe campagne avvenute in Messico, Nicaragua e Filippine.
L'Italia, come tutti i Paesi di cultura cattolica non ha le profonde radici razziste del mondo anglosassone. E però, negli anni, le donne straniere che ricorrono all'aborto volontario sono aumentate in modo vertiginoso (furono 10.131 nel 1996, sono state quasi 25.000 nel 2018, secondo gli ultimi dati Istat disponibili) e la relazione ministeriale sull'attuazione della 194/78 dice che «nonostante la diminuzione negli anni» del fenomeno abortivo le donne immigrate fanno ancora registrare «livelli di abortività molto più elevati delle italiane». Anche qui, dunque, un bambino di colore ha molte meno probabilità di nascere.
L'aborto procurato è comunque un male. Ma è innegabile che i bambini immigrati e con la pelle scura (insieme ai Down e ai malati e – anche in Occidente – alle bambine femmine) hanno meno probabilità di nascere di quelli maschi, bianchi, sani, belli.
Insomma, per molti le persone di colore e gli immigrati vanno accolti, rispettati e rifocillati solo quando sono belli grandi. Se sono piccoli, nascosti nel grembo materno, si possono tranquillamente eliminare.
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