November 12 2012
Il sole non sorge più ad Est, cap. IV
Tommaso Giancarli
L’altra volta abbiamo detto di come la repressione della rivolta ungherese del ’56, fatta non sull’onda emotiva di una minaccia più o meno reale, bensì come risposta meditata e dibattuta, abbia trasformato l’Unione Sovietica e soprattutto la percezione che di essa si aveva all’estero, specie fra i suoi possibili simpatizzanti; quello che accadde all’Ungheria fu, per certi versi, opposto.
Il paese danubiano perse nel 1956, oltre a una considerevole quota di popolazione che preferì riparare all’estero nei momenti convulsi dell’intervento sovietico (un’eco di quell’emigrazione appare nell’opera di Agota Kristof; in Ieri più che nella Trilogia della città di K., che invece contiene righe bellissime sui “rimasti”), l’illusione della sovranità. La reazione, apparsa evidente a chi visitò l’Ungheria nei decenni successivi e avvalorata anche dagli sviluppi post-comunisti, fu una cristallizzazione; il regime socialista post-1956, che pure fu relativamente morbido e aperto (ma la classe dirigente locale non poteva più avere credibilità), governò un paese addormentato, bloccato.
Ma giudizi simili sono stati dati su altri paesi del blocco socialista; eppure l’Ungheria, a differenza della Polonia o della Cecoslovacchia, non ha aderito con entusiasmo alla febbre atlantica e capitalista degli anni Novanta, non ha guardato – per così dire – ai valori occidentali come all’etica dei liberatori. Il popolo ungherese, anzi, sembra aver imboccato una via propria e peculiare, non priva di tratti inquietanti, volta a esaltare una sovranità sacra e intoccabile e un culto della nazione che a noi pare anacronistico, giacché si rifà essenzialmente a criteri ottocenteschi su cui, da noi, si ride (non sempre a ragione).
È come se il 1956 continuasse a vivere sotto forma di trauma: quella rivoluzione, patriottica più che nazionalista, anti-regime più che anti-comunista, deve aver lasciato agli ungheresi – già solitari per motivi geografici, culturali e soprattutto linguistici – il senso di un tradimento e una diffidenza per le dominazioni esterne, anche quando si presentano come benefiche, che non accenna a venir meno.
Ma forse l’auto-isolamento e la chiusura degli ungheresi, amanti sinceri e appassionati della cultura occidentale e in particolare di quella italiana, è il segno della debolezza attuale dell’Europa e della sua incapacità di elaborare un modello in cui i suoi popoli possano infine ritrovarsi.
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