Il "vero" Sully del film di Clint Eastwood, eroe e star
Eroe e star. Chesley Burnett Sullenberger detto Sully, 65 anni, oggi in pensione, è il capitano del volo US Airways 1549 che, decollato da New York il 15 gennaio 2009, fu colpito da uno stormo di uccelli e costretto a un ammaraggio d'emergenza nel fiume Hudson. Oggi il “miracolo dell'Hudson” è raccontato in un film appena uscito nelle sale e già campione d'incassi: Sully di Clint Eastwood, con Tom Hanks nel ruolo del protagonista e Aaron Eckardt in quello del copilota Jeff Skiles, ripercorre non solo i momenti di tensione e pericolo di quell'emergenza, ma l'inchiesta che ne è seguita, meno conosciuta al grande pubblico. Pur essendo acclamato come un eroe, pur avendo salvato le 155 persone a bordo volo, Sullenberger ha dovuto difendere le scelte fatte in una manciata di secondi davanti al National Transportation Safety Board e tutto perché non rispettato le direttive della torre di controllo, che suggeriva di atterrare in uno dei tre aeroporti più vicini. È stato il “vero” Sully a presentare, con grande passione, il film di Eastwood sulla sua stessa esperienza all'ultimo Festival di Torino, lo scorso 20 novembre, in un'affollata conferenza stampa.
Lei aveva scritto un libro sulla sua esperienza, intitolato Sully (edito in Italia da HarperCollins). Come si è arrivati al film?
Tutto è nato perché ho un amico che si chiama Harrison Ford, pilota e appassionato di volo. È lui che, dopo aver letto il mio libro, l'ha proposto ai produttori che ne hanno poi comprato i diritti. Ma ho capito che il progetto stava partendo davvero il giorno che ho sentito suonare il campanello di casa e mi sono trovato davanti Clint Eastwood.
Com'è stato l'incontro ?
Molto positivo. Pensavo di trovarmi davanti l'ispettore Callaghan, invece ho conosciuto un uomo gentilissimo, affabile e molto riflessivo. Mi ha subito detto che avrebbe trattato la mia storia con grande cura, che si rendeva conto del trauma subito e della delicatezza della mia situazione: lui stesso, anni prima, aveva vissuto un ammaraggio di emergenza e aveva raggiunto la costa a nuoto. Mi sono subito sentito in buone mani.
Il Sully del film dice “We did our job, abbiamo fatto il nostro lavoro”: la frase è sua o di Eastwood?
Sono le mie parole: è quello che ho pensato. Quel giorno tutti noi abbiamo fatto il nostro lavoro e lo dimostra il fatto che siamo sopravvissuti tutti.
Eastwood sottolinea molto la sua preoccupazione per la sicurezza dei passeggeri: a differenza di quanto è successo in Italia, con la nave dell'incidente all'isola del Giglio, lei è stato davvero l'ultimo a lasciare il velivolo. Preoccupazione personale o etica professionale, inculcata a tutti i piloti americani?
La sicurezza è stata la mia prima e ultima preoccupazione in tutta la mia carriera. Negli Usa non c'è una regola scritta che stabilisce che il capitano dev'essere l'ultimo a lasciare il velivolo in caso di incidente, ma ho sempre dato per scontato che fosse il mio dovere. Anche prima del gennaio 2009, ho sempre voluto verificare la lista dei passeggeri e contarli tutti. Dovrebbe essere la vocazione di ogni pilota.
Quanto l'ha ferita l'inchiesta seguita all'incidente?
È la prassi e la conoscevo bene. Io stesso avevo fatto parte anni prima della commissione d'inchiesta e so che ogni incidente va esaminato, che può insegnare qualcosa per il futuro. Questo non vuol dire che mi sia sentito leggero in quei 15 mesi, visto che era il mio operato a essere oggetto d'indagine.
Com'è stato vedersi con il volto di Tom Hanks?
Clint Eastwood mi aveva avvertito: “Sarà una cosa strana”. Difatti è stato surreale. È come vedersi in una foto o in un filmato, ti viene sempre da chiederti: “appaio davvero così agli altri?”. Eppure Tom Hanks ha fatto un ritratto accurato di me, è riuscito a incarnarmi riproducendo letteralmente gesti e frasi che riconosco come mie. Un grande.
E del film è felice?
Sì. Quando dai a qualcuno il diritto di raccontare la tua vita sei un po' preoccupato. E' stato come consegnare le chiavi della mia auto a Clint e vederlo partire con la mia esperienza, ma devo ammettere che è un ottimo pilota. Le emozioni del film sono le mie.
Si sveglia ancora sperando che sia il 14 gennaio del 2009?
All'inizio lo pensavo, quanto avrei voluto indietro la mia vita di prima! Senza incubi notturni, senza il dubbio di aver sbagliato tutto quel giorno... È stato talmente traumatico per me, anche se non ci sono state vittime. Ma dopo aver incontrato il presidente Obama, sia io che Jeff, il mio copilota, abbiamo pensato che è stata un'esperienza unica, preziosa, che ci ha insegnato moltissimo.
Pensa che la sua storia e i suoi principi possano piacere più a Trump o a Obama?
I miei valori, quelli in cui ho creduto nella mia vita privata e professionale, non sono né repubblicani né democratici. Non sono neppure valori americani. Io credo nel senso di umanità, che è universale: ognuno di noi deve pensare agli altri, è in debito con tutti, almeno nel mio ideale di civiltà.
Che vita fa oggi?
Una vita tranquilla e molto positiva: dopo il 15 gennaio 2009 ho avuto opportunità che, senza l'incidente, non avrei sfiorato neppure in cent'anni.
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