Economia
March 24 2017
È possibile che il “sistema” contestato all’imprenditore Alfredo Romeo, finito in carcere il 1° marzo per le sue relazioni pericolose con la Consip, sia da estendere anche alla ricca partita della gestione degli immobili dell’Inps? Al momento è solo un’ipotesi basata sulle indiscrezioni riportate nei giorni scorsi da qualche quotidiano. Saranno gli sviluppi delle inchieste a dire se è fondata oppure no. Ma non sono in ballo solo le ipotesi di reato. Chiunque voglia farsi un’idea di come l’intreccio perverso di dinamiche politiche e burocratiche può danneggiare l’interesse dei cittadini dovrebbe guardare un po’ più da vicino il modo in cui viene amministrato da otto anni il patrimonio immobiliare dell’ente previdenziale. Ne vale davvero la pena.
I numeri del patrimonio
Risulta dall’ultimo documento pubblicato dall’Inps, il 22 febbraio scorso, che l’ente possiede circa 30 mila unità immobiliari (appartamenti, uffici, negozi, garage, terreni) provenienti in gran parte da Inpdap, Enpals, Inpdai, e altri enti incorporati nel corso degli anni, per un valore complessivo di 2 miliardi e mezzo di euro. Una cifra di tutto rispetto, che da sola coprirebbe più di due terzi della manovra finanziaria appena chiesta all’Italia dalla Commissione europea. A patto di vendere gli immobili, naturalmente, cosa che tutti dicono di voler fare, ma che finora non è riuscita a nessuno.
Quanto rende questo patrimonio? Nell’ultimo bilancio approvato dall’Inps è scritto che il risultato netto della gestione è stato pari a -78 milioni circa per il 2015, dopo un -87 milioni nel 2014 e un – 63,5 milioni nel 2013. Avete letto bene: c’è sempre un meno prima delle due cifre indicanti i milioni, che indica un risultato negativo. È quel che l’Inps, ossia lo Stato Italiano (che ogni anno contribuisce a suon di miliardi ai suoi bilanci) perde da anni per conservare il possesso di questi immobili. Sono quasi 230 milioni di euro solo per il periodo dal 2013 al 2015. Come è possibile che un valore di 2 miliardi faccia perdere tutti questi soldi?
I buchi nella gestione
Sostengono gli esperti di questa complicatissima materia che amministrare con profitto gli immobili dell’Inps è impresa impossibile per definizione. Anzitutto per la sua composizione: 25 mila unità su 30 mila sono proprietà rimaste invendute dopo le cartolarizzazioni Scip1 e Scip2 e quasi la metà sono unità secondarie o minori (garage, cantine, terreni), non molto appetibili sul mercato. Inoltre la legge che ha imposto il ritorno all’Inps dopo il fallimento di Scip2, nel 2009, ha anche reso obbligatoria la vendita, con annesso divieto di stipulare nuovi contratti di locazione. Di conseguenza, il 52 per cento è sfitto e per il 41 per cento già affittato l’ente deve accontentarsi di una mera indennità di occupazione, visto che gran parte dei contratti è scaduta e non è possibile stipularne di nuovi (il restante 7 per cento, invece, è occupato abusivamente). “Aggiungete il macigno dell’Imu” concludono i difensori d’ufficio della gestione del patrimonio immobiliare dell’Inps “e avrete il perché dei quasi 230 milioni di perdite”.
Questa spiegazione trascura un elemento non banale, ossia che poco meno della metà degli immobili si trova a Roma, cosa che ne che ne eleva notevolmente il valore di mercato, in particolare per quel che riguarda i numerosi garage. In ogni caso, anche a volerla prendere per buona, resta l’interrogativo: se l’Inps riesce a gestire a condizioni vantaggiose questo patrimonio, perché non lo vende?
Politica e burocrazia
Qui entra in campo l’intreccio politico-burocratico di cui si diceva, con l’aggiunta di un’appendice sulla giustizia amministrativa che merita un capitolo a parte. Nel 2012 una legge ha stabilito che la vendita degli immobili dell’Inps richiedeva una società ad hoc e per questo nel 2013 il governo ha creato Invimit, al cento per cento del ministero dell’Economia, con sede in un bel palazzo a due passi dalla Fontana di Trevi, al cui vertice è stato piazzato l’ex potentissimo capo di gabinetto dello stesso ministero, Vincenzo Fortunato. La mossa successiva, secondo logica, avrebbe dovuto essere il trasferimento degli immobili dall’Inps a Invimit, per poi procedere rapidamente alla vendita. Peccato che, a distanza di quattro anni dalla nascita di Invimit, questo passaggio non sia ancora avvenuto. Per colpa di chi?
Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, sostiene che ci sono problemi normativi, non ultimi i possibili contenziosi con gli inquilini degli immobili di pregio che vorrebbero acquistare con un ribasso del 30 per cento di sconto già concesso agli altri, pur essendo lo sconto escluso dalla legge per la loro categoria. Tuttavia questa spiegazione non basta al Comitato di indirizzo e gestione (Civ) dell’Inps, composto da rappresentanti dei sindacati e delle imprese, che lamenta anzitutto una gravissima mancanza di trasparenza sulle questioni immobiliari e per questo ha rifiutato l’approvazione del bilancio preventivo del 2017.
Può darsi che c’entri anche la scarsa sollecitudine del ministero dell’Economia (che secondo qualche maligno la tirerebbe in lungo ben sapendo che la sua creatura Invimit non è assolutamente in grado di gestire una tale montagna di immobili), ma l’impressione è di uno scarica barile fra ente previdenziale e governo, il cui unico effetto è prolungare indefinitamente la situazione di stallo.
Sentenze a sorpresa
Nel frattempo il patrimonio immobiliare dell’Inps è stato gestito in modo misto: per poco meno della metà al suo interno, attraverso le sedi regionali, e per la parte restante da operatori privati, abituati a contendersi il relativo business con scontri all’arma bianca che finiscono regolarmente di fronte alla magistratura amministrativa. Oggi sono in sella due di questi soggetti: la società Igei (51 per cento Inps e il resto di vari privati), che vanta la singolarità di essere in liquidazione dal lontano 1996, e la Romeo Gestioni, che ha conquistato la sua fetta di torta grazie al maxi-appalto (44 milioni di importo) del 2011.
Nella gara, per la verità, la società partenopea era arrivata seconda, dietro al gruppo Prelios, ma subito fece ricorso al Tar. Lo perse e andò di fronte al Consiglio di Stato, che nel 2013 riformò a sorpresa la sentenza del Tar e, anziché decretare il rifacimento della gara assegnò direttamente l’appalto (un fatto davvero straordinario) a Romeo. A questo punto ci fu il ricorso della terza classificata, la Cofely, a cui il Tar diede ragione, salvo veder rovesciato ancora una volta il suo verdetto dal solito Consiglio di Stato, che nel 2015 rimise nuovamente in mano a Romeo la gestione della fetta più grossa degli immobili dell’Inps (quella proveniente dall’ex Inpdai: molte migliaia di immobili residenziali, la grande maggioranza nel Lazio, il cui valore patrimoniale è poco al di sotto del miliardo di euro) .
Informazioni con il contagocce
È facile immaginare che questi colpi di scena abbiano inciso sul risultato economico della gestione esterna (ossia il totale di ciò che è oggi amministrato da Romeo più quello in mano all’Igei), che infatti è tutt’altro che brillante. Si ricava dai resoconti dell’Inps che il rendimento netto del 2015 è stato appena dello 0,14 per cento del valore degli immobili, contro lo 0,98 che l’ente ottiene con la gestione diretta delle proprie sedi regionali (e chissà se anche queste siano campioni di efficienza). Lo scarto sembra piccolo ma non lo è per niente: mentre il patrimonio di circa 1,2 miliardi gestito direttamente dall’Inps frutta all’ente quasi 11 milioni e mezzo, quello di 1,3 miliardi amministrato da gestori privati produce un reddito netto di appena un milione e 960 mila euro.
Come se non bastasse, le informazioni necessarie a capire che cosa stia davvero succedendo in questa partita arrivano con il contagocce, cosa che sta provocando una frattura insanabile fra l’attuale dirigenza dell’Inps e il suo Comitato di indirizzo e vigilanza. “Senza un elenco completo degli immobili, accompagnato da indirizzi, metri quadri e rendimenti di ciascuno” dice a Panorama.it l’ex segretario confederale della Cgil Gian Paolo Patta “come facciamo a sapere se sono gestiti bene o male? Per avere i dati ho fatto anche ricorso al Tar ma ho perso: il tribunale dice che non ne abbiamo diritto. Ma io, facendo parte dell’organismo che ha il compito di vigilare sui bilanci dell’Inps, non voglio dover scoprire dai giornali che abbiamo, che so, qualche immobile di lusso nel centro di Roma affittato per una miseria. Per questo sto pensando seriamente di dare le dimissioni”.
Anche in mancanza di informazioni dettagliate, tuttavia, si può facilmente concludere che il patrimonio immobiliare che per l’Inps (e per i contribuenti italiani) non produce utili ma solo spese e tasse, è invece assai redditizio per i privati, Romeo in testa, che altrimenti non combatterebbero con il coltello fra i denti per ottenerne la gestione. È troppo chiedere che il Parlamento, le burocrazie ministeriali, l’Inps e la magistratura amministrativa si mettano finalmente in testa di vendere, eliminando alla radice i rischi di corruzione e portando pure a casa qualche soldo?