Calcio
November 29 2021
La tempesta che sta investendo la Juventus, per ora molto più mediatica che concreta essendo solo ai primi passi di un’indagine che sta nascendo e vedremo a cosa condurrà, ha il merito di accendere i riflettori su alcune delle pratiche più deteriori del calcio italiano ed europeo degli ultimi anni. Plusvalenze come strumento aggiusta bilanci e una certa patologia nel rapporto tra club e procuratori sono temi aperti da tempo, sui quali si è molto discusso per poi – come capita troppo spesso – non arrivare ad alcuna conclusione. Il quadro, insomma, è generale che non va tradotto nel ‘tutti colpevoli, nessun colpevole’, ma nemmeno dimenticato per non rendere l’inchiesta della Procura di Torino e gli atti che l’hanno preceduta, inchiesta conoscitiva Covisoc e approfondimento Consob, una banale caccia alle streghe bianconere.
Il rischio è concreto, dal momento che si parla di calcio che per definizione è argomento che si presta alla divisione per bande. Da una parte gli juventini, colpiti da sindrome di accerchiamento, dall’altra tutti gli altri seduti sulla riva del fiume ad attendere che passi il cadavere. Nel caso di specie, ad aspettare una qualche capitolazione sul piano sportivo della Juventus che gli investigatori di Torino hanno messo nel mirino e che dovrà dimostrare di aver agito correttamente, così come proclamato nella sua nota ufficiale.
La premessa è che dalla Procura di Torino e dalla Guardia di Finanza si attendono nelle prossime settimane e nei prossimi mesi notizie concrete sulla sussistenza di ipotesi di reato. Davvero le operazioni denunciate (282 milioni di euro) sono state fraudolente oltre che anomale? Ci sono state fatture false? Sono esistiti rapporti illeciti con altri club o procuratori per trovare soluzioni di abbellimento di bilanci che dal 2019 in poi hanno fatto segnare passivi sempre crescenti? Se la risposta sarà sì, chi ha sbagliato deve pagare. In passato, va ricordato, analoghe inchieste sul tema plusvalenze gonfiate e incrociate ha condotto a nulla di fatto, dunque l’impianto accusatorio dovrà essere eventualmente solido e tecnicamente articolato per evitare di riproporre in copia lo stesso esito.
Ma fuori dalla vicenda della Juventus e dai suoi eventuali sviluppi, rimane il tema delle pratiche malate del calcio moderno su cui fin qui non si è voluti intervenire. Dal 2016 al 2020 il volume delle plusvalenze delle società di Serie A è praticamente raddoppiato passando da poco meno di 400 a oltre 730 milioni di euro. Una curva che si è impennata nell’estate della maxi cessione di Pogba dalla Juventus al Manchester United e da lì non è più scesa, segno che non si è trattato di un semplice rimbalzo occasionale. Le plusvalenze le hanno fatte tanti, quasi tutti. E non sempre apparentemente giustificate dai nomi dei calciatori coinvolti. Il documento della Covisoc (organo di vigilanza della Figc) dei mesi scorsi, che il presidente Gravina ha definito in ottobre conoscitivo e non strumento per punire, si allargava anche oltre il club di Andrea Agnelli e quindi bisogna concludere che i vasi da scoperchiare siano diversi.
La Juventus ha certamente stressato lo strumento delle plusvalenze dal 2016 in poi arrivando a oltre mezzo miliardi di euro complessivi tra il 2016 e il 2020, un quarto del proprio fatturato. Altri hanno numeri simili. E’ evidente che una pratica di per sé lecita sia diventata col tempo sintomo di un malessere profondo e preannuncio di problemi più gravi perché l’artificio contabile che aiuta a chiudere i conti di una stagione diventa un appesantimento degli stessi in quelle successive. Fino a che il Covid non ha fatto scoppiare la bolla azzerando o quasi i movimenti del calciomercato e i valori della stragrande maggioranza dei cartellini.
Lo scenario era chiaro da tempo: perché non si è intervenuti sterilizzando gli effetti delle plusvalenze sui bilanci, rendendo meno vantaggioso farle per rientrare nei parametri di iscrizione alle competizioni o, come qualcuno teorizza, cancellandole definitivamente come possibilità di scrittura nel sottile equilibrio tra investimenti e ammortamento delle spese?
Lo stesso vale per i procuratori che dal 2016 al 2020 sono costati 913 milioni di euro alla Serie A con la solita Juventus (191) a fare da capolista ma anche altre big esposte intorno a quota 100, dall’Inter (108) alla Roma (103) per chiudere con il Milan (94). Denaro uscito dal sistema e mai più rientrato. Ricchezza dispersa che ha reso gli agenti i veri proprietari occulti dei diritti sportivi dei propri giocatori, togliendo ossigeno alle casse delle società strangolate da spese sempre più alte e senza ritorno. Di una riforma delle regole di intermediazione la Fifa discute da anni. Il Covid ha dimostrato che il tempo è scaduto e l’inchiesta di Torino sul cosiddetto ‘sistema Paratici’ potrebbe aver messo un altro punto esclamativo.
Un movimento lungimirante si muoverebbe subito, seppure già in ritardo. Senza dividersi per bande e senza illudersi che il guaio sia solo della Juventus. Che, se ha sbagliato, pagherà il suo ma che faceva parte di un mondo ormai assuefatto a considerare normalità certi riti e certe procedure che oggi riempiono le pagine dei giornali in attesa di capire se davvero sosterranno l’accusa in un processo prima penale e poi sportivo al club più in vista d’Italia.