Sicilia, estate 2024: viaggio inchiesta nella sanità, tra luci e ombre
La foto di quel cartone, con scritto “contenitore per rifiuti sanitari a rischio”, utilizzato al Pronto Soccorso dell’ospedale “Barone Romeo” di Patti, in provincia di Messina, per immobilizzare la gamba rotta del giovane Andrea Natoli ha fatto il giro d’Italia, diventando simbolo e monito di una sanità, quella siciliana, che si avvicina pericolosamente al punto di non ritorno.
Nello stesso Pronto Soccorso di questo paesone da 12.000 abitanti, dopo solo una settimana dal caso del cartone (e dalla rimozione della responsabile del Pronto Soccorso che sarebbe stata nominata con una procedura irregolare e dalla messa sotto inchiesta della dottoressa che ha eseguito la fasciatura) il giorno 7 agosto arriva anche la signora Francesca Colombo, che da Legnano è giunta in Sicilia per trascorrere le ferie nel paese di origine del marito. Lamenta forti dolori addominali, e dopo qualche ora di osservazione e vari esami, viene mandata a casa con una diagnosi generica di indigestione e la raccomandazione di “mangiare leggero”. Peccato che dopo due giorni la signora stia ancora molto male: morirà dopo poche ore dall’essere ritornata al Barone Romeo, dove stavolta ci si accorge che quella che sembrava una banale indigestione era invece un’occlusione intestinale. Intervento chirurgico d’urgenza, inutile.
Negli stessi giorni, è un altro ospedale, il Civico di Palermo, a entrare nella bufera: due genitori distrutti dal dolore denunciano il fatto che il figlio, di soli 7 anni, sia morto dopo un’operazione al cuore senza -secondo loro, al momento c’è un’inchiesta interna in corso- la dovuta assistenza, senza un briciolo di empatia e senza comunicazioni adeguate da parte dei medici del nosocomio. Dove, peraltro, la cardiochirurgia pediatrica è gestita dalle eccellenze del Policlinico San Donato di Milano, che grazie a una convenzione stipulata con la Regione invia i propri cardiochirurghi due volte al mese per operare i piccoli pazienti siciliani. Le inchieste sono appunto in corso, e vedremo solo nei prossimi mesi se esistono responsabilità da parte dei medici o se questi casi rientrano nel novero di tutto ciò che di imponderabile può succedere sempre, purtroppo, in medicina.
Sicilia, estate 2024: mentre i Pronto Soccorso dell’isola scoppiano, le ambulanze stanno in fila per ore e ore fuori dagli ospedali di Palermo e non riescono a “sbarellare”, cioè a liberare le barelle lasciando i pazienti in PS e quindi poter ripartire per altri soccorsi, la gran parte dei medici di famiglia sono in ferie e il meteo fa segnare 40 gradi, chi ha bisogno di cure si trova spesso a dover affrontare un girone infernale.
Le Guardie mediche? Al momento pressoché inutili.
Non va meglio se, invece di rivolgersi ai Pronto Soccorso, si ritiene di non essere particolarmente gravi e invece di ingolfare il sistema dell’emergenza-urgenza si cerca aiuto nella cosiddetta “continuità assistenziale”.
La signora che presidia la guardia medica di un -altro- grosso paesone siciliano, un sabato sera d’estate, indossa una maglia leopardata, tacchi decisamente troppo alti e una gonna decisamente troppo corta. Non ha camice, non ha tesserino identificativo dal quale si possa evincere il ruolo, non c’è un nome, ma ti ha aperto la porta di una stanza dell’ospedale sulla quale c’è scritto “Guardia medica”, lei è dietro la scrivania ed evidentemente quindi sì, il medico di guardia è lei.
Visita molto frettolosamente, nonostante il paziente lamenti un problema al torace, si limita a poche scarne domande, non ha alcuna attrezzatura: per misurare la febbre al malato estrae un termometro dalla sua elegante borsetta -coordinata leopardata- dopodiché senza nemmeno guardare in faccia il malcapitato, lo congeda prescrivendo un farmaco che poi si rivelerà insufficiente e inadatto, provocando a cascata guai e complicazioni.
Cose che probabilmente capitano spesso, se non si visitano accuratamente i pazienti o se, anche in presenza di buona volontà, non si dispone degli strumenti per farlo.
La stanza adibita ad ambulatorio è totalmente vuota: ci sono solo una scrivania, una sedia, un cestino dei rifiuti strapieno, una barella senza nemmeno un separé, non c’è uno stetoscopio (sarà anche quello nella borsetta?) figuriamoci se c’è un ecografo, non c’è assolutamente nulla. Del resto, anche nel caso “della gamba e del cartone”, il paziente prima di andare al Pronto soccorso di Patti si era recato in guardia medica, dove “non c’era nemmeno il disinfettante per pulire la ferita”.
Questo sarebbe il servizio di continuità assistenziale.
Dovrebbe essere la boa di salvataggio di qualsiasi persona che nei festivi e nelle ore notturne dalle 20 alle 8, quindi nei giorni e negli orari in cui il medico di base non è reperibile, ha bisogno di un consulto con un dottore, ma non ritiene di essere così grave dal recarsi in Pronto Soccorso. O di chi proviene da un'altra regione ed è magari in viaggio per lavoro o per vacanza, e non sa a chi rivolgersi perché è lontano dal proprio medico, non ha farmaci con sé, in farmacia non possono aiutarlo, insomma in definitiva non sa come cavarsi dai guai.
Le guardie mediche, per ammissione degli stessi medici che se ne occupano, sono più o meno così, sguarnite, in tutta l’isola, a parte qualche felice eccezione localizzata soprattutto nel territorio catanese.
Non rappresentano nemmeno un lontano surrogato della medicina di base, con la quale non possono competere per “conoscenza” del paziente, non hanno i mezzi per visitare accuratamente e non hanno accesso ai fascicoli sanitari. Anche dal punto di visita prescrittivo non possono operare con gli stessi presupposti del medico di famiglia: tenderanno a limitare le prescrizioni perché non ne possono seguire gli effetti e perché non hanno completa cognizione del paziente, delle sue patologie e relative terapie. A quel punto il malato, che si vede non visitato, liquidato frettolosamente e quindi non avviato a esami di controllo o altro, esce dalla guardia medica e va in pronto soccorso, andando ad allargare le fila dei codici bianchi o verdi e contribuendo ad intasare il sistema complessivo, già al collasso.
Con un compenso tra i 20 e i 25 euro lordi all’ora, i medici di continuità assistenziale svolgono la loro attività in convenzione con l’ASP: per avere la titolarità devono aver completato il corso di specializzazione di tre anni in medicina generale. Per fare i sostituti, possono anche essere “solo” laureati, senza alcun corso di specializzazione né particolare formazione, o specializzandi. Tutti i medici di Guardia possono prescrivere farmaci solo per la fase acuta, non per terapie croniche, eccezion fatta per i farmaci salvavita. In teoria, potrebbero anche dare punti, toglierli, fare medicazioni: quasi mai lo fanno, preferendo sempre spedire in Pronto Soccorso.
“Le guardie mediche sono generalmente affidate a medici di primo inserimento” ammette il dirigente generale del Dipartimento Pianificazione strategica dell’Assessorato regionale alla Salute, l’avvocato Salvatore Iacolino, già parlamentare di Forza Italia e ascoltatissimo consigliere del presidente Schifani “Possono esserci, specialmente in quelle più piccole, carenze strutturali e di strumentazione, ma inserendole all’interno di poli ambulatori o di Case di Comunità, come previsto dal PNRR e come stiamo già iniziando a pianificare, si potrà garantire un’assistenza sicuramente più puntuale. Sempre considerando che sono dedicate a problemi poco complessi, perché alla fine l’utente -a torto o a ragione- finisce sempre per rivolgersi ai Pronto Soccorso”.
Le eccellenze che spiccano
Quasi in contemporanea con questi episodi decisamente negativi, a Palermo, una ragazza “in condizioni disastrose” (come riferiscono alla stampa, letteralmente, i medici che la accolgono) viene trasportata in ospedale dopo un incidente gravissimo in moto. La quindicenne, a causa di un forte impatto sul guardrail e poi su alcuni tronchi sul bordo della strada ha subito un trauma alla zona uro-genitale che ha “sovvertito i piani atomici”. Non scendiamo in particolari cruenti, ma la definizione tecnica data dai medici nasconde una situazione mai vista prima: ebbene, verrà operata da un nutrito team di chirurghi del Trauma center dell’ospedale Villa Sofia di Palermo, per otto ore, e ne uscirà viva. Un miracolo? “No, assolutamente” spiega il direttore del centro, il dottor Antonio Iacono “questi risultati sono il frutto di organizzazione e competenza. La Sicilia non è solo malasanità, anzi”.
Solo qualche mese prima, al presidio ospedaliero del paese di Augusta, in provincia di Siracusa -nosocomio con pochissimi reparti e scarnificato di risorse e medici nonostante si trovi in un’area industriale ad altissimo rischio- va in scena un altro non miracolo: nottetempo arrivano due ragazzini vittime di un incedente in scooter. Il 118 li porta (forse con un errore di valutazione, considerandoli poco gravi) appunto ad Augusta, dove il Pronto soccorso non è attrezzato per politrauma così gravi e si regge sulla buona volontà e l’abnegazione del direttore, Danilo Umana, e del suo staff sempre a corto di nuove risorse, di attrezzature e di posti in reparto per ricoverare i pazienti. I due ragazzi hanno entrambi la milza rotta: il direttore del reparto di Chirurgia generale, il dottor Antonino Trovatello -che è responsabile sia del reparto di Chirurgia di Augusta che di Siracusa, distanza circa 30 km - si precipita in reparto nottetempo e decide, per salvarli tutti e due, di operarli in contemporanea. Non c’è tempo per fare altro, né per trasferimenti: allestisce due sale operatorie contigue e con l’aiuto di tutta l’equipe, anche di chi era in ferie ed è tornato di gran carriera, riesce a salvarli entrambi.
Buio e luce di una sanità, quella siciliana, che si aggrappa alle sue eccellenze per riuscire a tirare avanti.
Un’idea molto poco “siciliana”
In una situazione drammatica come quella di questi ultimi mesi, c’è però da ammettere che la politica, contravvenendo all’atavico immobilismo che per troppo tempo ha ingessato (è proprio il caso di dirlo) il sistema, davvero stavolta non è stata a guardare. Subito dopo il caso del cartone, il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, non si è limitato a scusarsi immediatamente -a prescindere dalle responsabilità, ancora tutte da accertare ma che sembra siano dovute a un errore della dottoressa del Pronto Soccorso, dato che le stecche erano presenti nel nosocomio- ma ha compiuto un’azione di dirompente innovazione: ha deciso di dar vita a una commissione tecnica di valutazione, unica nel suo genere, perché non affidata a burocrati ma a chi sta in trincea: “«Rendere più efficiente la Sanità siciliana, a cominciare dai reparti di emergenza/urgenza, è uno degli obiettivi programmatici del mio governo” spiega a Panorama il presidente Schifani “Abbiamo istituito una commissione tecnica di alto profilo che dovrà verificare lo stato di operatività dei 56 pronto soccorso siciliani, in modo da superare, insieme, eventuali criticità. Un organismo innovativo che ha lo scopo di migliorare le prestazioni fornite ai cittadini e offrire su tutto il territorio siciliano un servizio con standard adeguati. La commissione verificherà anche le condizioni strutturali e assistenziali, segnalando all'assessorato punti di forza ed eventuali punti di debolezza sui quali intervenire, proponendo azioni correttive, anche sul piano organizzativo, per superare le carenze e migliorare l’operatività». In pratica: circa 15 tecnici, tra direttori di Unità Operativa Complessa di emergenza-urgenza (cioè i primari dei più importanti Pronto Soccorso dell’isola), direttori sanitari, infermieri con competenze in aree di emergenza, andranno in giro per tutti i 56 ospedali dotati di PS della regione per valutare, esaminare, osservare e riferire.
A voler essere provocatori, possiamo dire che la Regione sta dando un enorme potere -anche- di critica, una metaforica arma fumante in mano a medici che da anni denunciano le falle nel sistema e chiedono dati, soluzioni, verifiche, spesso inascoltati. Mai fatto prima: “La commissione nasce proprio per cercare di capire cosa funziona e cosa no, i punti di forza e le criticità, e quindi risolvere i problemi” ci spiega ancora il direttore Iacolino “Abbiamo ritenuto opportuno proprio incaricare chi ogni giorno si confronta con l’emergenza-urgenza e conosce bene la materia e le problematiche, perché non è un’operazione di facciata, ma di contenuto. La commissione si insedierà il 27 agosto, hanno 3 mesi di tempo per lavorare, e dovranno preparare report e fornirci elementi di valutazione per le scelte da fare nei prossimi mesi. Saremo aperti a qualsiasi tipo di confronto, al contrario non avremmo fatto questa scelta così coraggiosa”.
Coraggiosa anche perché ci sarà, presto, da mettere mano alla riorganizzazione globale degli ospedali: e qui le resistenze sono e saranno enormi: “Uno dei nostri obiettivi è quello di rivedere e riqualificare l’intera rete ospedaliera, eliminando doppioni e ottimizzando le risorse” spiega ancora Iacolino “Non ha senso che ci siano, per esempio, due ospedali -Barcellona e Milazzo- con due ortopedie a 8 km di distanza. E tanti piccoli ospedali privi di tutti i reparti più importanti. E’ un obiettivo non più differibile. Occorre garantire un rischio clinico quanto più modesto possibile, e per farlo occorre fare una scelta forte di revisione della rete: è chiaro che, quando si inizia a parlare di questo, si ricevono pressioni enormi dalle politiche locali, dai sindaci, dai sindacati, dai cittadini. Cercheremo di portare avanti un confronto ampio, nell’interesse di tutti i siciliani”.
Il caso Noto
E proprio nell’ambito della revisione della rete ospedaliera, e delle resistenze da parte della politica locale, si inserisce il caso della cittadina di Noto. Perla del barocco, turisticamente molto celebre, ogni estate meta di vip e di un “assalto” di turisti soprattutto americani e inglesi, ha un Pronto Soccorso che funziona dalle 8 alle 20.
Del tipo: quando la realtà supera la fantasia. Se alle ore 20 ci sono ancora nella struttura pazienti che non sono dimissibili e non sono stati nel frattempo ricoverati nei pochi reparti disponibili in loco o in altri ospedali, questi vengono caricati sulle ambulanze e trasferiti al Pronto Soccorso di Avola: dista 12 chilometri, circa 10 minuti di viaggio. Entrambi i presidi fanno parte del cosiddetto “Ospedale unico Avola-Noto”. Facile immaginare quante risorse vengano sprecate in questo lavoro, quanti disagi, oltre al fatto che in un giorno vanno distaccati a Noto 4 infermieri e 2 medici, sottratti a un vero Pronto Soccorso (quello di Avola) per tenere aperta una struttura che è stata “ammantata” del nome di Pronto Soccorso ma che è tecnicamente un “POE”, Punto di osservazione emergenziale. A Noto, in ospedale ci sono solo 25 posti attivi, non ci sono cardiologi per le consulenze, non c’è il rianimatore, non c’è il chirurgo, quindi il non-PS è poco più che un ambulatorio.
Il problema è che questa situazione trasmette una sensazione di “falsa sicurezza” rappresentata da strutture sanitarie non rispondenti agli standard previsti e che pertanto rischiano solo di far perdere tempo prezioso. Gli abitanti di Noto forse lo sanno, i malcapitati turisti no, e rischiano di andare incontro a un’esperienza surreale: allo scoccare delle 20 caricati in ambulanza e portati nel vero Pronto Soccorso, ad Avola. Finche non succede la tragedia. E’ solo un esempio, per cercare di spiegare di fronte a queste sfide si troverà il governo regionale, al momento tanto atteso della riorganizzazione.
Gli elicotteri, i primari e il futuro
Non facciamo in tempo a concludere l’intervista con il dirigente Iacolino, che nella giornata di venerdì 16 agosto un’altra tegola piomba sulla Sicilia, che peraltro brulica di turisti: di punto in bianco, senza alcuna comunicazione preventiva, la società privata che gestisce il servizio di elisoccorso per il 118 lascia le province di Messina e Caltanissetta senza mezzi, mettendo a terra due elicotteri: “«Interrompere le attività del servizio di elisoccorso in due centrali operative – tuona il direttore – significa lasciare scoperto 1/3 del servizio sul territorio regionale. Questo è inaccettabile”. Si inalbera e si scusa, di nuovo, anche il presidente Schifani (che ha in corso anche investimenti per l’edilizia sanitaria e la riqualificazione per quasi 750 milioni di euro), vorticoso scambio di comunicazioni, e dopo due giorni gli elicotteri tornano a volare e a soccorrere le persone.
La sanità del nostro scontento, in questa estate 2024 che per la Sicilia è stata difficile e dolorosa, si apre però finalmente a parole come scuse, coraggio, competenza, e si chiude con un gruppo di primari che -oltre a mandare avanti i propri reparti tra le mille difficoltà che ben conosciamo- aiuteranno i politici a lavorare per il bene di un territorio incredibilmente problematico, ma che ancora una volta vuole sperare. Li seguiremo nel loro lavoro e sì, vogliamo essere -per una volta- anche ottimisti.
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