Lifestyle
April 29 2014
"Molti anni fa davanti al plotone di esecuzione" (rubo l’incipit del suo leggendario romanzo Cent’anni di solitudine) fu deciso che la sottoscritta fosse inviata a incontrare il mito Gabriel García Márquez (nonostante le contestazioni di alcuni colleghi di Panorama che avrebbero voluto andare al posto mio).
Entrata nel giardino di Cale del Fuego 1034 a Città del Messico ho pensato col cuore impazzito: adesso vedrò la leggenda volare sul prato degli ibiscus. Invece nel grande salone mi arrivò incontro un omino scintillante di riccioli che fa lo slalom in mezzo a computer colorati di pesci. "Se avessi scoperto la tecnologia 20 anni fa, avrei potuto scrivere 10 romanzi di più" mi disse. "Come tutti i giornalisti ho faticato a lasciare la macchina da scrivere". Vero. C’è sempre il germe del reportage negli scritti di Gabo, la fantasia che comincia dalla verità, il dolore, l’amore, la povertà riscattata dalla vita, tutte voci raccolte per le sue inchieste di reporter. "Mi hanno sempre dato la caccia, le mie storie" mi disse "ma non sapevo come scriverle. Finché un giorno, guidando verso Acapulco con mia moglie Mercedes, ecco l’illuminazione: era la mia nonna Tranquilina che doveva parlare nel mio libro. Girai la macchina e ritornai a casa, dove ho scritto per un anno".
Nel 1967 Cent’anni di solitudine è pronto. L’editore ne stampa 8 mila copie. È il ritratto dell’anima di un Sud America vergine, che non conosce dittatura né narcotraffico. Da quel giorno chiunque abbia sfiorato quelle pagine è cittadino di Macondo, chiunque abbia incontrato José Arcadio Buendia e Ursula ha dimenticato l’indirizzo di casa, le promesse, gli amori e qualunque passione terrena.
Perché da allora nessuno ha più incontrato uno scrittore che potesse impastare meglio di lui incanti, storie e ricordi. Gabo diceva che ognuno possiede una vita privata, una pubblica e un’altra segreta. Nessuno più di lui invece ha trasformato la sua vita pubblica in un segreto privatissimo: il suo tanto chiacchierato rapporto con Castro era in realtà un’amicizia con Fidel e un amore per Cuba; alla cerimonia del premio Nobel è stato l’unico a disertare il frac per presentarsi nel tradizionale Liquiliqui, la camicia a pieghe della sua terra. "Fra i miei titoli ce n’è uno che mi riguarda: Cronaca di una morte annunciata" aveva detto. È stato male troppi anni, Gabo. Ha lottato per far onore alla sua leggenda. Oggi che lui è volato a Macondo, dove i nonni lo aspettavano per raccontargli le novità del cielo, noi rimaniamo solo cittadini della nostalgia.