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July 19 2018
Mentre a Helsinki va in scena lo storico incontro Trump-Putin, Vladimir Yakunin - ex oligarca, ex KGB, ex capo missione ONU, ex Ministro delle Ferrovie ed ex sodale del presidente russo - si trova a sua volta in Europa per promuovere il think tank berlinese Dialogue of Civilizations Research Institute (DOC Research Institute), che si occupa di risoluzione dei conflitti.
Colpito dalle sanzioni come molti degli uomini vicini al Cremlino, Yakunin non risparmia critiche a nessuno. Neanche a Vladimir Putin, che nel 2015 lo ha allontanato dai centri di comando per evitare, come da tradizione, di concentrare troppo potere nelle mani di una sola persona. L’occasione è perfetta per parlare a tutto campo della geopolitica putinana e delle relazioni Russia-Occidente.
Lei nel 2015 ha scritto un libro molto critico sulla Russia, The Treacherous Path, ancora inedito in Italia. Perché?
Non ho mai scelto di essere critico riguardo al periodo seguito alla dissoluzione dell’URSS, e non lo dico solo perché sono stato allevato sotto l’Unione Sovietica. Ma è evidente che quelle persone che dichiaravano di voler cambiare la situazione, di volere un ‘socialismo dal volto umano’ erano dei populisti, nel significato che a questa parola attribuiamo oggi. Perché non erano preparati, né istruiti, né avevano esperienza politica o un’apertura mentale sufficiente a comprendere cosa sarebbe potuto accadere all’Unione Sovietica e come si sarebbe potuta sviluppare nel mondo questa visione. Da questo punto di vista, sono sempre stato estremamente critico.
Nessun bel ricordo?
Ovviamente. Non c’è solo bianco e nero. Ricordo bene l’entusiasmo nelle piazze, Gorbaciov circondato da una folla sterminata nel centro di Leningrado, le persone che stavano ad ascoltarlo parlare a braccio per ore. Era incredibile per un leader politico di quel calibro non cercare né profitti né consenso in ciò che faceva e diceva. Ma certo, tutto questo non è servito a incrementare il benessere del nostro paese. Infatti, da questo punto di vista, la dissoluzione dell’URSS ha portato molte vittime nelle nostre strade e numerose guerre nelle ex Repubbliche. Ecco i risultati della mancanza di consapevolezza e di visione politica. L’economia è crollata per ben due volte e le persone sono state abbandonate senza sicurezza sociale o una chiara visione del domani. E questa è stata responsabilità dei leader politici.
Poi però è arrivato Vladimir Putin…
L’impatto di Putin è stato più che notevole, perché ha protetto la Federazione Russa da un’ulteriore disgregazione, e questo è un fatto storico. Potrei criticare in molti modi il presidente, che conosco personalmente, ma prima di tutto dobbiamo ammettere che il suo incarico pluriennale rimarrà nei libri di storia a lungo”.
Oggi le appare più forte o più debole di prima?
Oggi l’uomo è più forte perché possiede un’incredibile esperienza politica e ha creato - insieme ai suoi dirigenti ovviamente - un sistema politico con una serie di istituti e una struttura democratica che, insieme, hanno stabilizzato davvero la Federazione Russa. Tutti noi russi che siamo stati coinvolti in questo processo, abbiamo contribuito a risanare l’economia, e alla fine ci siamo riusciti, anche se questo ha significato non avere relazioni economiche stabili con l’Occidente. Nonostante ciò, l’economia ha tenuto e per questo dico che la sua scelta lo ha rafforzato. Ma Vladimir Putin oggi è al tempo stesso anche più debole, perché più uno sa più è difficile fare qualcosa. Se sei un principiante non sei consapevole dei problemi, ma quando hai consapevolezza ed esperienza, ci pensi due o tre volte prima di fare qualcosa e questo ti rende potenzialmente debole.
E Donald Trump?
Se il presidente Trump ha deciso di incontrare Putin significa che è diventato politicamente più forte nel suo Paese e di certo più sicuro, altrimenti si sarebbe ben guardato dal fare una cosa del genere. Secondo me è un fatto importante, perché la stabilità o l’instabilità in America hanno un’influenza significativa nel resto del mondo, e rappresentano una garanzia o un problema per tutti. La stabilità americana ha conseguenze positive anche per noi e per il sistema globale politico-economico. Il fatto che si siano incontrati due leader di questo calibro è di per sé un segnale positivo indiscutibile. Il meeting è stato positivo di per sé. Inevitabilmente, i due hanno discusso delle relazioni bilaterali e mondiali. Non sapremo presto di cosa hanno discusso precisamente, ma i temi principali sono certamente stati Siria e Libia. In termini di sviluppi futuri, ritengo che non si sia trattato del solo terrorismo, ma delle interpretazioni erronee offerte sinora circa le crisi in corso.
Helsinki segna la fine delle sanzioni alla Russia?
Le sanzioni, che mi hanno coinvolto in prima persona, continueranno e nemmeno l’incontro al vertice ha potuto incidere per alleviarle. Sono pessimista, in questo senso. Sia perché sono iniziate ben prima che arrivasse Trump, e lui è stato costretto in questa decisione politica. Quindi, giudicando dallo stile politico americano, credo che difficilmente cambierà in maniera radicale. Cambiamenti positivi potranno arrivare nei prossimi mesi, certo, ma bisogna tenere a mente che le cosiddette sanzioni furono imposte alla Russia come risposta ai fatti dell’Ucraina. Chissà perché fui coinvolto anch’io, visto che non ero un politico né ero coinvolto con l’Ucraina se non per questioni attinenti ai trasporti, ma questa è un’altra storia. La Crimea era solo una parte del problema. Per risolvere il dilemma, bisognerebbe che la visione politica comune fosse “enough is enough”: la Russia non vuole invadere l’Ucraina, ha solo reagito alla crisi. Bisogna pesare la situazione attuale. L’unico appunto da fare al Cremlino è sul perché non dichiara di non avere intenzione di invadere i paesi baltici o altri paesi. Noi non intendiamo dividere, ma collaborare. Noi non intendiamo usare la forza militare, ma casomai rendere il mondo meno pericoloso. Però, questo va comunicato al mondo. E ancora non lo abbiamo fatto.
Quanto negativamente incidono le tensioni in Ucraina e nel resto d’Europa?
Non direi che le crisi attuali rendano il sistema complessivo più debole, perché esse sono soltanto la continuazione geopolitica di strategie introdotte dal presidente Putin e dalla sua amministrazione. Ma la situazione ucraina non era desiderata né disegnata dal Cremlino, si tratta piuttosto di un’aggressione da parte di nazionalisti vicini a posizioni fasciste. Ora, quel che è fatto è fatto, ma sappiamo bene che le cose possono cambiare da un momento all’altro, anche se il fatto resta: secondo me solo un accordo tra Usa, Ue e Russia potrà portare benefici, ed è proprio quel che hanno iniziato a trovare Putin e Trump a Helsinki.
E sul Mediterraneo e Siria?
C’è una nuova visione riguardo al Mediterraneo e alla Siria, ma dobbiamo anche capire perché. La Russia è stato il primo paese a soffrire per il terrorismo di matrice islamica, non certo gli Stati Uniti né l’Europa. Al tempo, nessun paese o leader europeo e americano ci ha sostenuto nella lotta contro il terrorismo. Solo successivamente, alcuni soggetti sono stati tacciati di attività terroristiche. Consideriamo allora che la grande sfida del Mediterraneo ci coinvolge tutti quanti come la più grande crisi globale odierna: Libia, Siria, Iraq. Il mondo non deve dimenticare che la Russia è stata la prima a essere esposta e in pericolo dal terrorismo, e siamo stati i primi a combattere il terrorismo. Non siamo noi invece ad avere l’appetito da “gendarme del mondo”, né in Siria né altrove. Siamo efficienti ma non al punto di poter condizionare la geopolitica con così pochi punti di riferimento.