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September 11 2018
Non tutta l'Europa è il male assoluto, come pure non tutto il "sovranismo" o il "populismo", nelle sue molteplici espressioni, è da buttare. L'operazione che sta portando il Ppe a incontrarsi, o a tentare di trovare un modus vivendi, con quel ceppo del sovranismo europeo che guarda a destra parte da Monaco di Baviera, dai cristiano sociali della Csu che con certe culture hanno sempre avuto molto in comune.
I teorici sono Manfred Weber, capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, e Horst Seehofer, ministro dell'Interno del governo di Berlino. Sono loro che hanno cominciato una marcia di avvicinamento a Matteo Salvini, all'indomani delle elezioni del 4 marzo, non senza la benedizione Angela Merkel. E in seconda battuta hanno spinto, sempre d'intesa con la cancelliera, il premier ungherese, Victor Orbán, all'inizio refrattario, ad aprire un canale con il leader della Lega.
I tre messaggeri del Ppe, negli scorsi mesi, hanno avuto tutti un incontro con Salvini e hanno instaurato un buon rapporto con lui. L'operazione ha un imprinting estremamente pragmatico: la Merkel vuole a tutti i costi un presidente della Commissione europea tedesco, al punto da accettare che sia addirittura un esponente dei cugini della Csu, come Weber. Per riuscire ad avere un suo uomo sulla principale poltrona di Bruxelles la cancelliera ha bisogno, però, anche dei voti di alcuni pezzi del sovranismo europeo (la nomina del presidente della Commissione passa anche per un voto del Parlamento di Strasburgo) e i sondaggi che danno in crescita la Lega nel nostro Paese (l'ultimo addirittura dà il Carroccio al 32 per cento, sopra i 5 Stelle) l'hanno trasformata in un'interlocutrice naturale.
Speculare è la posizione di Salvini: stare al governo a Roma è un'opportunità, ma anche un rischio, specie in questi frangenti. E il rischio aumenta se non si ha un santo protettore a Bruxelles più concreto dei tanti movimenti populisti europei, che spesso hanno stimmate ben diverse della Lega; qualcuno che non guardi il Carroccio come uno spauracchio e non usi il parametro del 3 per cento come una clava sul governo di Roma. Non è detto che ci si riesca, ma almeno bisogna provarci.
In fondo, non sarebbe la prima volta: anche i numeri, in alcuni casi, si possono interpretare. Basta guardare le origini del Carroccio per ricordare che il movimento ha sempre suscitato grande interesse dalle parti di Monaco di Baviera. E visto che in politica le relazioni più affidabili sono determinate dagli interessi comuni, è probabile che questi movimenti portino a qualcosa. I segnali già ci sono: il commissario Ue al Bilancio, il tedesco Günther Oettinger, dopo le polemiche dei mesi scorsi si sta mostrando più comprensivo (almeno a parole) verso il governo di Roma; mentre Salvini non parla più di sforare il parametro del 3 per cento, ma di sfiorarlo e sulla Ue dice "non bisogna uscirne, ma bisogna cambiarla".
"Io non so come finirà" osserva Vito Bonsignore, democristiano e per anni uno dei nove vicepresidenti del Ppe "ma se Orbán, che ha posizioni molto più dure, è dentro il Ppe, non capisco perché non possa esserci Salvini". Naturalmente è difficile che maturi un epilogo del genere, specie in tempi brevi. Sarebbe clamoroso. Ma una relazione privilegiata tra questo pezzo del sovranismo nostrano e il Ppe è molto probabile.
Al netto di alcune garanzie, non dispiacerebbe neppure a Silvio Berlusconi: un rapporto a Strasburgo di questo tipo terrebbe in vita la coalizione di centrodestra in Italia e renderebbe più ardua la strada di un matrimonio stabile tra leghisti e 5 Stelle. In fondo la strategia tipica dei democristiani, a ogni langitudine, non è combattere i propri avversari o competitor, bensì avvilupparli: nel 1994 il Ppe lo fece con Forza Italia e Berlusconi, che allora era considerato un populista; ora l'operazione potrebbe ripetersi con la Lega di Salvini.
(Articolo pubblicato sul n° 38 di Panorama, in edicola dal 6 settembre 2018, con il titolo "Non è detto che l'incontro Salvini-Orbán sia a danno della Merkel")