Economia
November 06 2012
I 199 milioni di euro incassati dalla famiglia Marzotto e Donà Dalle Rose dalla vendita delle quote di Valentino a un fondo di private equity e che secondo il gip del tribunale di Milano avrebbero preso il volo verso le isole Cayman - ipotesi "frutto di un evidente abbaglio" secondo i legali della difesa - non sarebbero che l’ultimo e più clamoroso caso di evasione fiscale di noti imprenditori italiani.
In questo caso l'imposta evasa secondo gli inquirenti ammonta a 65 milioni di euro. Quale sia invece la cifra esatta dei capitali all’estero dei paperoni nostrani (e del relativo buco per il Fisco ) è difficile da dirsi: al tempo dell’ultimo condono fiscale, per esempio, Bankitalia stimò in 350 miliardi di euro (700.000 miliardi delle vecchie lire) i capitali italiani nascosti all’estero, come ricordato di recente a un convegno da Francesco Greco, procuratore aggiunto di Milano.
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Una cifra che è senz’altro aumentata negli ultimi anni, tanto che negli scorsi mesi si stimava che le sole banche svizzere ne custodissero una parte pari a circa 150 miliardi di euro i quali, se tassati in base a un accordo sulla falsa riga di quelli stipulati dalla Germania, Austria e Regno Unito con Berna, potrebbero fruttare allo Stato oltre 37 miliardi con una tantum del 25%.
Di certo si sa che i capitali depositati dagli evasori di tutto il mondo nei paradisi fiscali (Isole Cayman, Bahamas, Svizzera, Singapore eccetera) ammontano a circa 15.000 miliardi di euro, un numero pari a quasi dieci volte il Pil italiano, almeno secondo le più recenti stime pubblicate questa estate sul settimanale Observer e fornite dal gruppo di attivisti Tax Justice Network, capitanati da un ex McKinsey boy come James Henry.
Si sa, inoltre, quali siano le mete preferite dagli evasori. L’Italia, infatti, ha stilato due elenchi degli stati "canaglia" per il Fisco, le cosiddette black list individuate in due decreti (il Dm Finanze 4 maggio 1999 e il Dm Finanze 21 novembre 2001) che considerano la tassazione dei redditi ai fini Irpef e i redditi prodotti da società controllate nei paesi offshore. Tra questi, oltre ai paesi caraibici e asiatici, compaiono anche la Svizzera e i piccoli stati del Vecchio Continente come il Liechtestein, Monaco, Andorra e San Marino.
Per questo la Ue ha deciso di rafforzare la lotta all'evasione fiscale e la fuga di capitali verso i paradisi fiscali. Dal primo gennaio 2013, infatti, entrerà in vigore una direttiva (2011/16/UE del 15 febbraio 2011 che abroga la precedente 77/799/CEE) che aumenta sensibilmente le capacità di indagine delle amministrazioni fiscali dei paesi membri.
In particolare, le nuove norme estendono la cooperazione tra gli Stati a tutte le imposte fatta eccezione per l'Iva intracomunitaria , i dazi doganali e le accise, per le quali sono stati predisposti strumenti specifici.
La direttiva, inoltre, prevede che l'autorità interpellata trasmetta all'autorità richiedente entro sei mesi dalla richiesta le informazioni previste di cui sia in possesso e anche la possibilità dello scambio spontaneo di informazioni per uno Stato membro non obbligato a farlo.
Tuttavia, è probabile che quella adottata da Bruxelles si riveli alla fine un'arma spuntata: a detta di molti esperti, infatti, l'ulteriore aumento della pressione fiscale in alcuni paesi (tra cui Italia e Francia) e l'introduzione di nuove tasse, come la controversa Tobin Tax , potrebbero accentuare nei prossimi anni la fuga di capitali all'estero verso paesi che offrono condizioni fiscali migliori.
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