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L'industria delle armi in America, spiegato bene

"Oggi ero un meeting nella Situation Room dove discutevamo di persone che sapevamo essere sostenitori dell’ISIS in America, cittadini statunitensi che frequentano abitualmente i siti dell’ISIS. Ma se ci è permesso impedirgli di volare iscrivendoli nelle no-fly list, a causa della National Rifle Association non ci è invece permesso impedirgli di comprare armi. Sappiamo per certo che si tratta di simpatizzanti dell’ISIS e, nonostante questo, io non posso impedirgli di entrare in un negozio di armi e comprare tutte le pistole e fucili che riescono a trovare".

Questa era l’amara conclusione dell’ex presidente Barack Obama quando, di fronte a un pubblico di sostenitori della libera circolazione di armi, si trovò a rispondere al senso di promuovere nuove leggi per limitare che chiunque possa acquistare un’arma senza prima essersi sottoposto a dei controlli. "Prima di comprare un’auto, ciascuno di noi deve sottoporsi a un test della patente perché gli altri sappiano che siamo in grado di guidare. Con le armi dovrebbe accadere lo stesso, ma così non è" era il ragionamento di Obama.

Il business delle armi

Come noto, il presidente democratico non è riuscito, durante i suoi otto anni di presidenza, a invertire minimamente la tendenza degli americani alla “sindrome da far west”. Il Congresso a maggioranza repubblicana durante questo periodo ha affossato ogni tentativo del governo di far approvare una riforma che limitasse l’uso e la diffusione incontrollata di armi, corroborando l’idea che la National Rifle Association, la più grande lobby USA sulle armi, abbia un potere di persuasione immenso, che va ben oltre le possibilità della stessa Casa Bianca.

Questo perché per l’America l’interesse economico per le armi da fuoco supera di gran lunga quello sociale: in una nazione che conta 320 milioni di abitanti, oggi sono 310 milioni le armi circolanti.

Grazie a questo florido mercato e alla vendita all’estero, le aziende del settore riescono ad accrescere i profitti di anno in anno e sono ormai quasi 50 le aziende americane a classificarsi ogni volta tra le prime cento al mondo, con 240 miliardi di dollari di fatturato annuo e oltre il 60% del giro d’affari complessivo mondiale.

Ma affinché i costruttori di armi da fuoco ottengano guadagni costanti, serve che queste armi sparino: i veri numeri da capogiro, infatti, sono relativi proprio alle munizioni, dove il guadagno netto per i produttori è superiore dieci volte al costo di fabbrica. Una realtà che provoca una media di 10,5 morti ogni 100mila individui pari a quasi 12mila vittime per omicidio volontario l’anno.

Le lobby al potere

L’ILA, Istitute for Legislative Action (Istituto per azione legislativa), è lo strumento lobbistico che agisce sulla politica americana per conto della National Rifle Association, che a sua volta opera sin dal 1871 per favorire l’industria delle armi in America. E agisce comprando voti sia nel Congresso americano sia all’interno degli Stati dell’Unione.

Il tutto è possibile grazie all’ombrello del Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che recita: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto delle persone di detenere e portare armi”.

Ora, poco importa che quell’emendamento risalga al 1791, che non sia chiarissimo e che la sua interpretazione sia stata dibattuta fino al 2008, quando una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che possedere armi è un diritto, sconfessando un divieto in vigore a Washington DC.

Quelle parole rispecchiano pienamente la volontà dei circa 4 milioni di membri dell’NRA (numero in costante crescita) che non solo promuovono il diritto al possesso delle armi, ma pungolano continuamente quel senso di insicurezza che gli americani vivono da sempre, suffragati dal loro motto preferito: “l’unica cosa che ferma un cattivo con una pistola, è un buono con una pistola”.

Cosa dicono le statistiche

Ironia della sorte, le statistiche danno in parte ragione alla lobby delle armi, quando si osserva che gli Stati americani che hanno registrato meno sparatorie di massa in stile Orlando e Las Vegas sono proprio quelli con il maggior numero di armi in circolazione: Wyoming, Montana, Idaho, Nord e Sud Dakota. Anche se, in verità, dove circolano meno armi ci sono anche meno morti legati al loro possesso: è il caso delle Isole Hawaii e del piccolo Rhode Island.

In definitiva, le armi da fuoco sono un primato tutto americano e, dunque, rappresentano un punto nodale per quel paese: e se sono tra le prime cause di morte tra i giovani negli Stati Uniti, rappresentano anche uno dei principali motori economici dell’industria americana, nonché la ragione del primato mondiale degli Stati Uniti in ambito militare.

Il "contentino" di Donald Trump

Per questo, il tema è sempre stato di difficile soluzione. Se a esso si abbina la cultura della violenza, dominante in quasi tutto il continente americano, si comprende almeno in parte come sia possibile che possano verificarsi massacri come quello di Las Vegas. Che ha una particolarità rispetto al passato: l’uso di un’arma automatica (cioè colpi in sequenza illimitati) al posto di una semiautomatica (che richiede di ricaricare il colpo ogni volta).

Per questa ragione il presidente Donald Trump, dopo l’episodio, ha aperto a una legge che certifichi definitivamente come il diritto di portare armi non si debba estendere anche a quelle automatiche.

E persino la NRA stavolta si è detta favorevole, consapevole che già oggi serve il porto d’armi per quel tipo di dotazione. La proposta di legge s’innesta sul precedente National Firearms Act del 1934 e sul Firearm Owners Protection Act del 1986, che stabiliscono proprio questo principio.

Ma è fumo negli occhi, un “contentino” per l’opinione pubblica che non risolverà il punto centrale della questione: non si possono vendere le armi, sia pure semiautomatiche, a chiunque senza prima un controllo.

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