La guerra per il controllo del calcio

Senza esclusione di colpi perché la posta in palio è il controllo del futuro del calcio. Un business da miliardi di euro che fa gola a tanti e nel quale sono pochi a investire: molti prendono e basta, almeno fino a quando regole scritte oltre mezzo secolo fa lo consentiranno. Nel giorno in cui sui giornali di tutta Europa si dava conto del passo formale effettuato dalle leghe del Vecchio Continente presso la Commissione di Bruxelles - denuncia della FIFA per abuso di posizione dominante nell’imposizione del nuovo calendario internazionale con nel mirino i nuovi format del Mondiale per Club (32 squadre nel 2025) e del Mondiale (48 nazionali) – il presidente Gianni Infantino ha usato il suo profilo Instagram per svelare un altro pezzo del puzzle complesso della competizione che si terrà a giugno.

Seattle ospiterà sei partite e sarà una delle sedi scelte e annunciate nelle scorse settimane in risposta a chi aveva cominciato a ventilare l’ipotesi che il Mondiale per Club potesse saltare. Non che i problemi siano risolti. Anzi. Ad oggi manca ancora la copertura finanziaria del progetto non avendo trovato la FIFA chi sia disposto a investire per l’acquisto dei diritti tv di un torneo certamente affasciante e potenzialmente ricco, ma che arriva in un mercato già a livello saturazione. Non è un caso che da qualche anno le leghe europee fatichino a sviluppare tassi di crescita nella cessione dei diritti tv dei propri campionati, con eccezione della solita Premier League che ormai vive su un pianeta a parte rispetto anche a Liga spagnola, Bundesliga tedesca, Serie A e Ligue1 francese.

La stessa nuova formula della Champions League voluta da Ceferin per contrastare le spinte secessioniste della Superlega ha fatto impennare il numero delle partite (189 da 125), alzare i ricavi (2,46 miliardi di euro contro 2,02) ma anche diminuire il valore pro-match di ciascuna delle sfide: da 16,1 a 13 milioni di euro. Tradotto: per incassare di più si è deciso di produrre di più anche a costo di diminuire il prezzo di quanto offerto, stressando ulteriormente un calendario già in forte tensione. La differenza è che la UEFA, secondo il sindacato calciatori e le leghe ricorrenti a Bruxelles, ci è arrivata attraverso un percorso condiviso mentre la FIFA ha deciso di imperio. Ricostruzione che Infantino respinge con forza ma che è il perno su cui ruota il tentativo di dare una spallata per via legale ai suoi progetti.

E’ una fase storica di grande fermento dentro e intorno al calcio. Mentre i manager che stanno studiando la nuova superlega (rigorosamente con la ‘esse’ minuscola essendo cambiato tutto rispetto all’aprile 2021) si dicono pronti a partire nel 2025, forti della pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE che ha demolito il monopolio di Nyon, lo stesso Ceferin e Infantino sono alle prese con una serie di iniziative che rischiano di riscrivere da fuori i baluardi delle norme che fin qui hanno garantito l’autonomia esclusiva dello sport e del calcio. La stessa Corte UE, ad esempio, ha di fatto imposto alla FIFA di cambiare il senso delle regole che sovrintendono il calciomercato: Zurigo ha chiamato tutti a un confronto per evitare lo tsunami della cancellazione di alcuni capisaldi senza i quali il gioco sarà stravolto, ma il caso Diarra da cui nasce la pronuncia del Lussemburgo ha svelato che il re è nudo e che la football industry non può più essere governata con sistemi pensati nel secolo scorso.

Alle viste ci sono sentenze che riguarderanno anche la giustizia sportiva (Agnelli e Arrivabene hanno avuto via libera dal Tar del Lazio per andare alla Corte) e non solo. E’ un sistema sottoposto a scosse telluriche continue, insomma, quello che fa da sfondo alla guerra di potere tra i suoi attori. Una contrapposizione che si distingue per la molteplicità di colpi bassi. Non sorprende, dunque, che mentre i nemici di Infantino tentino l’affondo anche a livello comunicativo lo stesso risponda con armi adeguate. In questi anni di regno sulla FIFA ha consolidato rapporti strettissimi anche al di fuori del Vecchio Continente, spostando l’asse geopolitico del pallone prima verso gli Stati Uniti e poi ad Oriente. L’assegnazione dei Mondiali all’Arabia Saudita nel 2034 ha fatto storcere il naso a tanti, ma per il numero uno del calcio ha rappresentato e rappresenta un’esibizione di forza senza pari. Chi lo ama, lo segue. Gli altri cercano di rovesciarlo muovendo dall’esterno i propri eserciti.

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