Economia
August 27 2022
Dovevano essere gli anni della Grande Ripresa dopo l’oppressione del Covid, con i suoi lockdown e i green pass. Invece il mondo ha fatto appena qualche passo di corsetta per inciampare e ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con i rischi di recessione e con un avversario che sperava di aver seppellito per sempre: l’inflazione. Il risultato è che l’economia globale potrebbe avanzare il prossimo anno ad un tasso di crescita tra i più bassi dagli Anni 70. Il Fondo monetario internazionale sostiene infatti che il Pil mondiale dovrebbe crescere del 2,9% nel 2023, ma se i maggiori pericoli legati all'Ucraina, all'inflazione e al Covid si materializzassero, il mondo potrebbe frenare il prossimo anno al 2,0%, un livello toccato solo cinque volte dal 1970.
Già, perché il grande rimbalzo che tutti ci aspettavamo con la fine della pandemia non si è potuto realizzare pienamente. Intanto perché la pandemia non se n’è andata del tutto e la Cina continua a combatterla con dei lockdown esasperanti. Poi ci sono state le strozzature nelle catene di approvvigionamenti, la mancanza di una serie di componenti come i microprocessori, i tentativi di riportare alcune produzioni in Occidente (dando un’altra spinta ai costi e quindi all’inflazione), il boom della domanda di alcune materie prime i cui prezzi sono esplosi. A questi fenomeni si è aggiunta la guerra in Ucraina con un’ulteriore impennata delle quotazioni del gas.
Tutto questo ha prodotto il rallentamento di alcune economie, come quella cinese, e il ritorno dell’inflazione. A sua volta l’inflazione ha provocato la reazione delle banche centrali che hanno alzato i tassi per far rientrare la dinamica dei prezzi al consumo a livelli più accettabili. E il rialzo dei tassi frena l’economia.
Ecco come il nostro Ufficio parlamentare di bilancio descrive la situazione: «Il conflitto fra Russia e Ucraina si sta rivelando più lungo di quanto inizialmente si potesse ipotizzare e provoca forti tensioni sui mercati delle materie prime (a metà luglio il prezzo del gas era oltre il doppio di quello precedente all’invasione dell’Ucraina). Le banche centrali hanno accelerato la normalizzazione delle politiche monetarie, rendendole meno accomodanti nel tentativo di arginare l’inflazione, salita a luglio nell’Eurozona all’8,9 per cento (dall’8,6 di giugno), secondo le stime preliminari di Eurostat. La politica zero Covid portata avanti dalla Cina, oltre a danneggiare l’economia interna (il Pil ha frenato dal 4,8 per cento tendenziale del primo trimestre allo 0,4 del secondo) rallenta anche le catene globali degli approvvigionamenti. Il tutto si è tradotto in una significativa decelerazione dell’economia mondiale: gli Stati Uniti, che hanno visto il Pil scendere sia nel primo sia nel secondo trimestre, sono quindi entrati in una fase di recessione tecnica, mentre il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni sul Pil globale».
Il Fondo monetario stima in particolare che la Cina, dopo il più 8,1% del 2021, cresca di appena il 3,3% quest’anno e del 4,6% nel 2023. Un rallentamento che si farà sentire sul resto del pianeta. Nel 2023 il Pil americano dovrebbe aumentare solo dell’1 per cento mentre per l'area euro il Fondo prevede un più 1,2% nel prossimo anno. Ma l’Fmi avverte che la crescita di Stati Uniti e Europa potrebbe avvicinarsi allo zero nel 2023 nel caso in cui i rischi legati allo stop del gas russo e alla volata dell'inflazione si materializzassero. Come nota il centro di ricerche Ispi «in caso di manovre più restrittive delle banche centrali, nuovi lockdown in Cina e uno stop alle esportazioni di gas e greggio russi in Europa, si perderebbero altri 1,5 punti percentuali di crescita globale in questo biennio».
A confermare i timori di una recessione sono gli andamenti delle materie prime, quasi tutte in ripiegamento dopo l’avanzata dei mesi scorsi. Un’analisi di Ref Ricerche mostra come minerali ferrosi, rame, alluminio, zinco, legname, cotone siano tornati ai prezzi del 2021 mentre anche grano e soia sono in ribasso. Sono buone notizie ma anche il campanello di allarme che rivela una frenata della domanda globale.
In questo scenario generale gli italiani si troveranno ad affrontare un autunno e un inverno molto difficili, soprattutto se la Russia bloccherà l’export di gas: razionamenti dell’energia, inflazione alta, tassi di interesse in salita e tensioni sui mercati, già anticipati dal Financial Times, per l’eccessivo debito pubblico. Il 5 agosto l’agenzia di rating Moody’s ha abbassato il voto all’Italia da stabile a negativo. «Mentre la crescita e gli sviluppi fiscali hanno riservato sorprese positive nel 2021 e all'inizio del 2022» scrive l’agenzia «i rischi per il profilo di credito dell'Italia si sono accumulati più di recente a causa dell'impatto economico dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e degli sviluppi politici interni, che potrebbero avere implicazioni rilevanti sul credito: rischi maggiori che il contesto politico ostacoli l'attuazione delle riforme strutturali, comprese quelle contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) dell'Italia; aumento del rischio che i problemi di approvvigionamento energetico indeboliscano le prospettive economiche; rischio che la solidità fiscale dell'Italia sia ulteriormente indebolita da una crescita lenta, da costi di finanziamento più elevati e da una disciplina fiscale potenzialmente più debole». Moody’s aggiunge che «il ritorno dell'incertezza politica e il mancato raggiungimento degli obiettivi del Pnrr lascerebbero l'Italia più esposta alla fiducia degli investitori in un momento in cui il governo ha bisogno che gli investitori svolgano un ruolo maggiore nel mercato del debito italiano in un contesto di normalizzazione della politica monetaria della Bce». Il pericolo paventato dal Financial Times, che parla già di attacco ai titoli italiani.
Nel 2023 l’ufficio parlamentare di bilancio prevede che l’Italia cresca solo dello 0,9 per cento: «Lo scenario macroeconomico dell’economia italiana appare soggetto a rischi di varia natura, soprattutto di matrice internazionale, prevalentemente orientati al ribasso e con ripercussioni soprattutto sul 2023. Il principale tra questi rischi è rappresentato dall’evoluzione del conflitto in Ucraina, dalla sua durata e dall’impatto che potrebbe avere sui prezzi e sulla disponibilità delle materie prime, in particolare energetiche e agricole». In una nota del 18 luglio, Ref Ricerche sostiene che «un razionamento dell’offerta nei mesi invernali appare quindi possibile, con limiti all’utilizzo di gas per le famiglie, e probabilmente fasi di interruzione dell’attività industriale, specie da parte dei settori energivori».
Il Fondo monetario sottolinea che «la crescita italiana è attesa rallentare in seguito alla guerra in Ucraina, la stretta della politica monetaria, le strozzature alle catene di produzione e l'inflazione alta». Il Fondo prevede per l'Italia una crescita dello 0,7% il prossimo anno. La Commissione europea invece si aspetta nel 2023 una crescita dello 0,9%, con l’inflazione che dovrebbe toccare
il 7,4% quest'anno per poi scendere al 3,4% nel 2023. «Mentre le pressioni sui prezzi delle materie prime energetiche dovrebbero attenuarsi solo il prossimo anno, è probabile che la grave siccità nel nord Italia aggraverà l'impennata nei prezzi dei generi alimentari per i consumatori» scrive la Commissione, la quale avverte anche che ci saranno richieste per aumentare i salari. Questo è l’inquietante scenario che aspetta il prossimo governo