Economia
January 16 2018
A dare la buona notizia è stato l’Istat. Nel 2017, secondo le rilevazioni dell’istituto nazionale di statistica, in Italia è tornata finalmente l’inflazione. Dopo un 2016 in negativo (-0,1%), da gennaio a dicembre dell’anno scorso i prezzi al consumo sono cresciuti dell’1,2%. A trainare il carovita sono state in particolare alcune categorie di prodotti e servizi come i trasporti (+2,8%), le forniture energetiche non regolamentate (+4,4%), gli alimentari e le bevande analcoliche (+1,9%).
Le cifre dell’Istat, che erano già state stimate da tempo in via preliminare, vengono salutate con favore da molti osservatori che le considerano il segnale di un’economia che si è rimessa in moto. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, quando l’Italia aveva un tasso di inflazione a due cifre, probabilmente nessuno avrebbe immaginato che un giorno l’aumento dei prezzi al consumo, da spauracchio qual era, sarebbe invece diventato una speranza.
Ma perché oggi il ritorno dell’inflazione viene salutato con tanto favore? Sostanzialmente per due ragioni. Innanzitutto, l’aumento dei prezzi è ovviamente il sintomo di un’economia che è tornata a crescere, spinta dai consumi e dagli investimenti, dopo anni di recessione e stagnazione.
In secondo luogo, l’inflazione è anche un antidoto per alleggerire il peso del debito pubblico, soprattutto in un paese come l’Italia che da decenni viene considerato vulnerabile nei suoi bilanci. Per valutare la solidità finanziaria di una nazione, infatti, gli economisti prendono di solito a riferimento un parametro importante: il rapporto tra il debito e il pil (prodotto interno lordo), cioè tra l’indebitamento in valore assoluto e la ricchezza nazionale.
Ovviamente, se il pil cresce a un tasso superiore al debito, quest’ultimo diventa maggiormente sostenibile, anche nell’eventualità di un rialzo dei tassi d’interesse, oggi ancora inchiodati attorno allo zero. Va ricordato che, quando si calcola il rapporto debito/pil, si prende sempre a riferimento il valore del prodotto interno lordo nominale, che sale ogni anno grazie a due fattori: il primo è la crescita reale dell’economia, il secondo è proprio l’aumento dei prezzi, cioè l’inflazione.
Ecco dunque spiegato perché, in un paese con i conti pubblici a rischio come l’Italia, è bene che il costo della vita aumenti ogni anno, seppur moderatamente, invece di calare. Un po’ di inflazione fa insomma crescere il valore nominale del pil del nostro Paese e rende più sostenibile il debito.
Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari Economici e Monetari, ha di recente ribadito che il tallone d’Achille dell’Italia resta proprio l’alto rapporto debito/pil, che è ancora attorno al 130% anche se da quest’anno è tornato a calare. Di fonte a questi numeri non resta dunque che dare il benvenuto alla vecchia e cara inflazione.