Inflazione, tassi e green deal. Fanno scalpore le parole di Bankitalia

Una sorta di passaggio “obbligato” verso la transizione energetica. Così il dg di Bankitalia Luigi Federico Signorini ha interpretato – durante il suo intervento a Ania l’attuale rialzo degli energetici dovuto, tra le altre cose, all’inasprirsi del conflitto tra Russia e Ucraina. Signorini, nel commentare l’aumento eccezionale dei prezzi ha sottolineato di essere d’accordo col le politiche nazionali adottare per mitigare i prezzi, ma ha anche aggiunto che va ricordato "come tali prezzi devono crescere per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine nella transizione climatica, obiettivi che l'attuale transizione rende ancora più vitali". Per il dg i "relativi segnali di prezzo dovrebbero, in linea di massima, essere mantenuti, anche per bilanciare la domanda e l'offerta nelle attuali circostanze".

Parole che hanno fatto fare un salto sulla sedia a tanti analisti economici esperti di energia tra i quali Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e tra le massime voci in campo di guerra della gas. A Panorama.it Torlizzi ha detto: “Mi ha un po’ sorpreso questa uscita di Signoriani per due motivi. Da un lato bisognerebbe sapere che questo importante aumento dei prezzi dell’energia anziché incentivare il passaggio verso le fonti rinnovabili, sta invece incentivando il ritorno al carbone cosa che sta avvenendo un po’ in tutto il mondo. Già questo primo automatismo va contestato con i fatti e poi il secondo punto da contestare è che dire oggi che è giusto che i prezzi salgano perché così si incentiva il passaggio alle fonti green mi sembra che, nella situazione attuale, sia anche poco rispettoso nei confronti di famiglie e imprese che stanno facendo una fatica enorme nel rimanere in piedi. Credo che da questa uscita venga fuori l’aspetto dirigistico del green deal; cioè un piano calato dall’alto e deciso dalle elite per dirottare su specifici settori i fondi europei.”

Che ruolo ha il green deal nell’attuale crisi energetica?

“In fondo il green deal è una forma di sovvenzione a determinati settori dell’industria con il beneplacito della finanza che ovviamente ricopre un ruolo enorme in questo piano climatico però il funzionario dovrebbe avere capito dopo un anno e mezzo che in questa situazione ci siamo finiti a causa delle politiche climatiche. Mi piacerebbe incontrarlo e spiegargli bene la situazione perché qui parliamo della vita delle persone e della vita delle aziende; l’ideologia non può entrare perché dire che un prezzo alto favorisce la transizione ecologica è un approccio ideologico. Magari adottato in maniera inconsapevole, ma è così perché se noi non avessimo adottato delle politiche climatiche troppo zelanti da parte dell’Europa oggi staremmo in una condizione differente.”

In che modo?

“Innanzitutto non ci saremmo ritrovati a essere nella condizione di dipendenza verso la Russia da cui oggi ci stiamo affrancando con enorme fatica e pagando un prezzo altissimo cioè quello di approvvigionarci attraverso il gas liquefatto. Questa stessa ideologia green ha indotto la Germania a chiudere quasi tutte le centrali nucleari aumentando la dipendenza nei confronti del gas russo visto che – ed è un concetto ormai assimilato da tutti- le fonti green hanno il grande problema di essere intermittenti e quindi non possono garantire un regolare approvvigionamento energetico; cosa che in Cina invece hanno capito molto bene visto che già un anno fa –alle prime avvisaglie della crisi energetica – Pechino ha riformato il green deal permettendo la riaperura delle centrali a carbone”.

Il green deal, quindi, avrebbe bisogno di essere rivisto e riaggiornato?

“Il green deal è un piano che quando è stato ideato eravamo in un contesto globale completamente diverso. Non eravamo in guerra con la Russia, avevamo delle lunghe filiere di fornitura con la Cina entrambe condizioni che non ci sono più.

Oggi, invece, abbiamo una condizione in cui ci stiamo affrancando dalla Russia; non possiamo più pensare che il gas possa così arrivarci ininterrottamente per garantirci quella fase di transizione e soprattutto - per quello che riguarda il green - non dobbiamo mai dimenticarci l’aspetto a monte ossia che sono applicazioni (pannelli solari o impianti eolici) che richiedono una grande quantità di metalli che sono oggi nella disponibilità sostanziale del governo cinese. Il ragionamento, quindi, è molto complesso e dire che i prezzi alti servono per incentivare questo passaggio a mio avviso è un approccio riduttivo che non coglie la realtà dei fatti. Spiace che arrivi da un alto funzionario: sarebbe forse il caso che Bankitalia si aggiornasse su quanto accaduto negli ultimi due anni e non ripetesse a pappagallo le frasi inserite dentro i piani climatici dell’Europa; che avesse un approccio un po’ critico perché ne va della sopravvivenza delle imprese e della tenuta sociale del paese”.

Secondo i dati Confindustria del 2022 il conto energetico delle imprese a causa della guerra del gas è stato pari a 110 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente proprio a causa degli extra costi. Questo in termini reali come si traduce?

“Si traduce in un forte calo dei consumi industriali. A settembre i consumi industriali hanno registrato un calo del 22,5% rispetto a settembre del 2021 e siamo in una condizione che andrà a peggiorare per la disparità di politiche che sono adottate oggi in Europa. Abbiamo un contesto in cui la Germania ha annunciato oggi che finanzierà l’80% dei consumi di gas a livello residenziale e il 70 a livello industriale e quindi si è in un contesto in cui il governo di Berlino sovvenziona le proprie industrie e famiglie mentre noi per il momento ci siamo limitati solo a dei crediti d’imposta che daranno un piccolo ossigeno alle imprese, ma che è poca roba rispetto a quanto stanno facendo altri paesi. Se vogliamo continuare su questa strada è bene che si sappia che stiamo dando via libera a una scalata sulle nostre imprese perché se tra due o tre mesi non verranno dati degli aiuti avremmo delle imprese che saranno purtroppo costrette a essere cedute a competitor stranieri”.

Chi trae benefici dalla guerra del gas?

“Un altro aspetto che non considera Signorini è proprio il fatto che da questa crisi energetica tra i grandi beneficari ci saranno proprio i produttori di auto asiatici perché se davvero quei target climatici non dovessero essere cambiati noi qui avremmo un problema enorme di auto prodotte in Asia e in larga parte in Cina che saranno tra le altre cose molto più convenienti delle auto prodotte in Europa con tutto l’indotto di ricerca e sviluppo, quindi rischiamo che un prodotto che è stato il simbolo dell’industrializzazione europea degli ultimi 50 anni – le auto - venga spazzato via per rispettare degli zelanti piani climatici”.

‘Ce lo chiede l’Europa’ è una litania che sentiamo ormai in tutte le salse. Quali sono gli ambiti che sono costati più cari agli stati membri?

“Gli Stati membri hanno fatto tanti sacrifici per stare dietro ai dettami imposti dall’UE ora è tempo che l’Europa restituisca mostrando coesione e lungimiranza per non rimanere ingabbiata in assurde regole di bilancio, ma che ci dia il via libera per avere degli spazi per poter stanziare delle politiche di sostegno alle famiglie e alle imprese. Le negoziazioni non devono essere fatte con l’elmetto; noi non dobbiamo andare lì per lottare. Noi siamo un paese fondatore e abbiamo tutto il diritto a chiedere dei maggiori spazi in bilancio per aiutare le nostre famiglie e le nostre imprese con la copertura della Bce. Visto che per anni abbiamo rispettato sempre in maniera molto precisa tutte le regole contabili ora è tempo che l’Europa faccia davvero l’Europa e la BCE faccia davvero la banca centrale perché se non lo faranno loro il rischio è che lo facciano gli USA con la FED. Abbiamo perso mesi per portare avanti un discorso assolutamente infondato come il price cap che non aveva senso - come qualsiasi analista avrebbe potuto dire dal giorno 1 - e invece abbiamo perso mesi mentre servivano delle soluzioni più pragmatiche. Per ragioni ideologiche si è rifiutato di guardare il mercato e si è perso solo del grande tempo e rischiamo che gli accordi europei saltino se non vengono fatte quelle politiche che devono riassorbire questo cap di politiche tra i differenti paesi che sono il rischio più grande di dissoluzione del progetto europeo.”

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