Economia
July 12 2022
Ce la farà l’Inps a uscire indenne dall’ondata inflazionistica e a tenere in ordine i conti senza toccare le pensioni? E’ quello che si chiedono oggi gli analisti alla luce della presentazione del XXI rapporto dell’Istituto nazionale di previdenza sociale presieduto da Pasquale Tridico.
Con un’inflazione che nel 2022 potrebbe toccare l’8% l’aggravio della spesa pensionistica per l’Inps potrebbe raggiungere i 24 mld di euro in un anno determinando un disavanzo patrimoniale dell’Istituto di 92 miliardi entro il 2029. Secondo i tecnici Inps “Non esiste un problema di sostenibilità quanto piuttosto un alert che segnala come serva crescita economica e produttività per un sistema in equilibrio", ciò nonostante la preoccupazione c’è.
Al momento, come si legge nel Rapporto, il 92% della spesa è assorbita dalle pensioni di anzianità – ovvero le anticipate - quelle di vecchiaia, invalidità e superstite. Per le prestazioni assistenziali - invalidi civili e le pensioni e gli assegni sociali – se ne va il restante 8%.
La voce di spesa più ingente è quella per le pensioni di anzianità con il 56% del totale, seguono quelle di vecchiaia che assorbono il 18% della spesa e le pensioni reversibili per le quali se ne va il 14% del budget. Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 7% del totale; per ultime ci sono le pensioni di invalidità e le pensioni e assegni sociali che rappresentano rispettivamente il 4% e il 2%.
L’importo lordo complessivo totale destinato ai trattamenti pensionistici è di 312 miliardi di euro. Si tratta di una platea di 16 milioni di persone, delle quali 8,3 milioni sono donne e 7,7 uomini.
I trattamenti pensionistici tra uomini e donne, però, sono tutt’altro che paritetici e il divario di genere (a sfavore delle donne) si contabilizza in circa 6 mila euro l’anno. Questo accade per una serie di fattori che si ripercuotono sul’impatto salariale in fase pensionistica. Il più delle volte, infatti, gli uomini godono delle pensioni anticipate, ovvero quelle di importo più elevato, mentre tra le donne prevalgono nelle pensioni di vecchiaia o quelle ottenute per reversibilità. L’Inps sostiene che il divario pensionistico è riconducibile a retribuzione oraria (differenza del 17% nel settore privato), tempi di lavoro (part time) e anzianità contributiva (differenza del 40% nel 2001 scesa al 25% nel 2021). Nel complesso gli assegni pensionistici degli uomini sono superiori del 37% di quelli delle donne. Secondo Inps con trent'anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l'ora, un lavoratore a 65 anni percepirebbe una pensione di appena 750 euro.
Tra i 16 milioni di pensionati Inps che esistono in Italia, del resto, il 40% di loro percepisce un reddito inferiore ai 12mila euro lordi annui, cioè meno di mille euro netti al mese. E nonostante queste cifre la sostenibilità del sistema gestito dall’Inps è a rischio visto che nel 2029 l’istituto di previdenza potrebbe ritrovarsi con un patrimonio in negativo per 92 miliardi.
In questo senso diventa sempre più prioritario affrontare (e risolvere) il cosiddetto patto intergenerazionale del quale si parla da tempo e capire come superare Quota 100 e Quota 102 evitando di tornare, a partire dal prossimo anno, alle regole della Legge Fornero. Le trattative tra Governo e sindacati sono ferme da febbraio con una serie di ipotesi sul tavolo che vengono vagliate e considerate senza che si giunga a una conclusione.
Secondo Inps “La ricetta per il sistema Italia passa attraverso misure incisive sul mondo del lavoro e dell'occupazione, in primis, quella di un salario minimo legale. Ma è di fondamentale importanza il tema delle pensioni: un'ulteriore ragione che induce a preoccuparsi del fenomeno della povertà lavorativa di oggi è il fatto che chi è povero lavorativamente oggi, sarà un povero pensionisticamente domani", ha detto Tridico.