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August 25 2024
Forse l’Intelligenza artificiale non è brutta come la si dipinge. Almeno, con il ritratto di Gesù basato sulla Sindone di Torino, ha realizzato un piccolo capolavoro. Glielo ha commissionato il quotidiano inglese Daily Express, che ha utilizzato il programma Midjourney. Il risultato è quello che potete osservare in prima pagina oggi: è molto simile alle icone di Cristo che siamo abituati a vedere esposte nelle chiese, sui comodini delle nostre case, o sui santini di carta che teniamo nel portafoglio. In particolare, si nota una grande somiglianza con l’immagine della Divina Misericordia, cioè il quadro che il Figlio di Dio in persona avrebbe chiesto a Santa Faustina Kowalska di far dipingere. L’Ia ha rappresentato, con la vividezza di un’istantanea, un uomo dai capelli lunghi, con gli zigomi pronunciati, la barba e lo sguardo penetrante. Sul suo viso e sul suo corpo si scorgono i segni delle torture subite dai romani; un dettaglio coerente con le ferite che sono presenti sul corpo dell’Uomo della Sindone, custodita nel Duomo del capoluogo piemontese.
L’opera dell’Ia è totalmente diversa dalla ricostruzione che alcuni studiosi di antropologia forense proposero, ormai 22 anni fa, in un articolo di Popular Mechanics, famosa rivista americana di tecnologia. La squadra di esperti si era basata sui teschi ritrovati nell’area intorno a Gerusalemme e su alcune prescrizioni religiose, che avrebbero contribuito a definire l’aspetto di un galileo all’epoca della crocifissione. Così, gli scienziati avevano negato che Gesù potesse portare i capelli lunghi, considerati «indecorosi» da San Paolo, il quale ne scrisse nella prima lettera ai Corinzi. Venne fuori una raffigurazione lontanissima dall’immaginario collettivo: un Cristo dal volto schiacciato, il naso camuso, la carnagione scura. Un elemento che non sfuggì a chi voleva approfittare dell’esperimento per montarci sopra una piccola battaglia ideologica: «Il fatto che [Gesù, ndr] probabilmente somigliasse molto di più a un semita dalla pelle scura», commentò Charles D. Hackett, allora direttore di Studi episcopali alla Candler school of theology di Atlanta, «ci ricorda la sua universalità. E ci ricorda della nostra tendenza ad appropriarci di lui in modo peccaminoso, al servizio dei nostri valori culturali».
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