Calcio
September 20 2022
SOS, qualcuno salvi Juventus e Inter. C'è un pezzo del calcio italiano che conta alle prese con una crisi che non è solo di campo, anche se nel rettangolo verde sta trovando i suoi sintomi. La domenica delle cadute fragorose a Monza e Udine ha solo scoperchiato definitivamente il vaso, mettendo Allegri e Inzaghi sul banco degli imputati ma certificando anche l'impossibilità dei due club di intervenire. Che è poi figlia dello stesso problema che in estate ha fatto vivere le due squadre sul filo, tra spese imponenti (la Juventus), tagli agli stipendi (entrambe) e la precarietà di non poter veramente programmare fino in fondo il proprio futuro.
Non è solo un problema di infortuni, un pizzico di sfortuna e una marea di errori. Le radici della crisi sono più profonde e la fotografia rimandata in queste giornate di turbolenza è quella di due gruppi di lavoro in cui ognuno corre per conto suo; in campo e dietro la scrivania, perfino a livello di comunicazione se è vero che i due principali imputati hanno entrambi scelto la formula della non-intervista (non autorizzata) per difendersi agli occhi dei tifosi sempre più spazientiti. E per lanciare messaggi dentro i rispettivi spogliatoi dove il sospetto è che ci sia qualche conto di troppo da regolare.
Chi sta peggio a livello di risultati è la Juventus: 10 punti in 7 partite (uno in meno rispetto alla tragicomica partenza di un anno fa) e campagna di Champions League compromessa dopo 180 minuti. Contestazione aperta ad Allegri e ai giocatori, prestazioni al limite dello sconcertante e alibi degli infortuni che regge ormai poco, anche perché la maggior parte di natura muscolare e quindi direttamente imputabili al lavoro dello staff di Allegri che, infatti, è oggetto di revisione.
Il tecnico livornese è in bilico. Dentro la società c'è chi vorrebbe apertamente il suo esonero (Nedved), chi lo difende (Agnelli) e chi fa i conti con la realtà (Arrivabene), perché cacciare un dipendente da 7 milioni netti più bonus fino al 2025 significherebbe mettere in conto un buco di 35-40 milioni cui aggiungere la spesa per il successore. Senza certezza di risolvere i problemi, visto che il progetto sportivo è quello firmato dalla stesso Allegri e difficilmente il successore si accontenterebbe mentre alla proprietà non si può chiedere un nuovo sforzo dopo i 700 milioni immessi sotto forma di aumento di capitale dal 2019 e gli oltre 450 di passivo negli ultimi tre bilanci.
Numeri da brivido come quelli di campo, la fotografia di un'azienda che sta vivendo una lunga fase di transizione, aggravata dalle conseguenze della pandemia, nella quale c'è ben poco di funzionale. Allegri giura di avere le soluzioni per i problemi tecnici e che quanto si è visto fin qui è solo "virtuale", essendo mancati per infortunio i pilastri (Pogba, Chiesa, Di Maria che si è anche auto escluso con il rosso folle di Monza, Cuadrado, Locatelli e Rabiot tanto per citarli). I tifosi hanno esaurito la pazienza e sognano che se ne vada, anche a costo di portare sulla panchina una vecchia gloria come Montero che fin qui ha allenato, e senza guizzi, serie minori e ragazzi.
Non accadrà, non nell'immediato, perché la sensazione definitiva è quella di una Juventus prigioniera dei suoi numeri e dei suoi errori del passato recente che ha una data di inizio riconoscibile con chiarezza nell'autunno 2018. Allora Agnelli decise di cambiare salutando Marotta per fare largo ai giovani: Paratici, Ricci e Re furono messi a capo delle tre aree del club. Nessuno di loro oggi lavora ancora alla Continassa.
A Milano, sponda Inter, la crisi è scoppiata inattesa ma non sorprendente perché i segnali c'erano già stati dentro un'estate che sembrava quella del rilancio dopo due anni di pane e acqua. Almeno a livello di mercato. Invece le cose si sono complicate e i problemi allargati anche al campo, dove quella che è considerata da tanti la rosa migliore della Serie A ha perso quasi una partita su due (3 su 7) dimostrando anche di non reggere il confronto con la migliore Europa.
Inzaghi è nel mirino, protetto però non solo da Marotta ma da un contratto recentemente allungato al 2024 e che costerebbe 18 milioni lordi se rescisso. Troppi per potersi permettere una decisione di pancia e così sul tecnico verrà steso un velo di protezione cercando anche di capire perché il rapporto con lo spogliatoio non funziona più. Slegata nei reparti, distratta e confusa, nervosa oltre ogni limite e poco incline ad accettare l'errore altrui, la squadra sta dando pericolosi segnali di scollamento con un disagio acuito dalle scelte a volte cervellotiche di chi la guida dalla panchina.
Le voci di confronti poco amichevoli ad Appiano Gentile si rincorrono e certamente c'è più di uno scontento, anche perché il turn over ha colpito anche gli ex intoccabili (Barella e Bastoni), mentre il pezzo pregiato del mercato (Lukaku) ancora non si è visto e quando c'è stato ha fatto fatica a reinserirsi in un progetto tattico differente da quello che aveva abbandonato e che portava la firma di Antonio Conte.
Sullo sfondo la questione societaria: i rumors sulla cessione non fanno quasi più notizie e nemmeno vengono smentiti dalla famiglia Zhang che tra un anno e qualche mese si troverà al bivio di dover restituire il prestito al fondo Oaktree per non perdere il club messo in pegno. Siccome la situazione non è cambiata in Cina e dentro Suning, sono ormai in tanti ad arrivare alla conclusione che il rapporto tra proprietà e Inter si stia consumando e a provare a orientarsi su cosa possa riservare il futuro. Un clima di incertezza che non aiuta, mentre nei prossimi mesi il management sarà chiamato a colmare con cessioni di mercato il mancato avanzo dell'ultima estate e qualche disavventura come gli incassi che vengono meno per lo sponsor inadempiente. Piove sul bagnato, un temporale che rende realisticamente quasi impossibile pensare all'esonero dell'allenatore e da incubo lo scenario di una stagione vissuta stando fuori dall'Europa che conta (e che paga).