Calcio
January 09 2024
Il paradosso è che Inter e Juventus non sono mai state così distanti come oggi dagli anni torridi di Calciopoli e questo avviene proprio nel momento in cui, con la rinuncia del club bianconero ad andare oltre nella serie di ricorsi, la vicenda sportiva (dopo quella processuale) si chiude per sempre. Amiche mai, nemiche sempre. Soprattutto se di mezzo c'è uno scudetto per cui lottare che in casa Inter rappresenterebbe quello della seconda stella e della supremazia cittadina, mentre per a Torino varrebbe l'uscita immediata dal tunnel della crisi innescata giusto un anno fa dalla bufera sulle plusvalenze e sui bilanci ritenuti truccati dalla Procura.
La posta in palio è altissima, dunque. Per certi versi storica molto più di quanto lo fosse quella in gioco alla fine degli anni Novanta e poi più tardi, quando Calciopoli con i suoi veleni spazzò via la Juventus aprendo il ciclo morattiano concluso con il Triplete firmato da Mourinho. Per poi lasciare posto alla rinascita juventina, al ciclo dei nove scudetti consecutivi e al nuovo ribaltone di gerarchie.
Il clima è intossicato, irrespirabile. Accuse e difese, dossier pubblici e privati nel senso che i due club stanno provando a mantenere un aplomb invidiabile sulla questione arbitrale mentre tutto intorno il fuoco divampa. Nei salotti televisivi, sui quotidiani e nei bar sport di mezza Italia il tema è uno e uno soltanto: l'Inter sta rubando lo scudetto a colpi di favori arbitrali? Marotta è il nuovo Richelieu del calcio italiano? O solo il numero uno perché da tre anni costruisce una squadra competitiva sulle difficoltà finanziarie degli Zhang?
Gli errori arbitrali della prima metà della stagione non aiutano. Nel mirino sono finite le vittorie dell'Inter a Marassi e contro il Verona, il detonatore dell'esplosione anti-nerazzurra. Ma in avvio era successo anche altro, a parti invertite, e in mezzo di cose ne sono capitate non necessariamente sull'asse Milano-Torino. Dove si sta consumando, però, una rivalità che sa molto di rivincita storica. Perché oggi è il mondo juventino che fa il conto di torti e favori, delle ammonizioni e dei falli fischiati, utilizzando argomenti storicamente appartenuti alle altre fazioni. E quello interista si ribella e va allo scontro.
La stagione del resto era già iniziata male, con il dibattito a volte surreale sui presunti favoritismi del calendario e delle scelte delle tv a pagamento nel posizionamento delle partite. Poi si è passati agli infortuni e ai forfait nelle nazionali per atterrare direttamente sul pianeta Var e dintorni. La classe arbitrale ne sta uscendo stritolata, per condizionamento esterno oltre che per errori propri. Come si può andare avanti così fino a maggio?
Il paradosso è che inter-Juventus di oggi è una guerra santa a parti invertite, almeno nella percezione popolare. La data cerchiata in rosso sul calendario è quella del prossimo 4 febbraio, ore 20 e 45: l'ora e il giorno in cui la Juventus si presenterà a San Siro per il ritorno dello scontro diretto. Mancheranno altre 15 giornate (e 45 punti) alla fine del campionato ma è indubbio che una parte consistente del verdetto sarà scritta lì. Da mesi il designatore Rocchi lavora sul nome di chi sarà mandato a dirigere il match. Serve il migliore, servirebbe Orsato, sempre che si abbia il coraggio di mandarlo dopo il fiume di fango seguito alla mancata espulsione di Pjanic nella primavera del 2018. Quella dello scudetto perso dal Napoli in albergo (versione Sarri), degli audio spariti (versione Le Iene) e di un'altra bufera che, visto il livello di oggi, sembra acqua fresca in confronto allo tsunami di oggi.