Elogio della sconfitta a testa alta

L'Inter va fuori dalla Champions League per mano del Liverpool che sui 180 minuti della doppia sfida, tra San Siro e Anfield, si è complessivamente dimostrato più forte e, quindi, avanza a pieno merito. Però l'Inter esce avendo vinto in casa dei Reds, impresa mai semplice, dopo una partita d'andata a lungo giocata meglio del proprio avversario fino al crollo conclusivo e ai due gol incassati da Handanovic che hanno indirizzato la qualificazione. Siccome il calcio è uno sport in cui il risultato è fondamentale, nessuno si sogna di affermare che l'Inter avrebbe meritato di andare avanti al posto del Liverpool. Punto.

Sul modo, però, si sono formati due partiti. Il primo giudica onorevole la sconfitta della squadra di Inzaghi, uscita "a testa alta" da un confronto che sembrava proibitivo. Il secondo si limita a registrare il ko che certifica come l'Italia pratichi ormai un calcio di basso livello, troppo lontano dalle big europee e non competitivo nemmeno su una doppia sfida come questa. Tutto sbagliato tutto da buttare via, insomma, e il concetto di "testa alta" come vecchio arnese retorico buono per auto consolarsi invece di affrontare i problemi.

Non è così, altrimenti per parlare e scrivere di calcio e di sport sarebbe sufficiente dare un'occhiata al Televideo, prendere nota del risultato finale e procedere col commento. C'è sconfitta e sconfitta così come esiste vittoria e vittoria. Quella dell'Inter nell'ottavo di Champions League con il Liverpool è stata una sconfitta carica di buoni segnali, altre no. Come paragonare, ad esempio, le due cadute della Juventus nelle finali più recenti della Champions League: onorevolissima quella del 2015 a Berlino con il Barcellona - e se fosse stato fischiato quel rigore su Pogba... -, molto più colposa e colpevole quella di Cardiff nel 2017 contro il Real Madrid. E, uscendo dal calcio, come va giudicato l'argento olimpico di Sofia Goggia in una disciplina in cui nei mesi precedenti aveva praticamente sempre e solo vinto? Un fallimento? Una delusione? Oppure una meravigliosa impresa?

La sconfitta "a testa alta" esiste perché fa parte dello sport, ne è scritta nel tessuto connettivo. La sfida tra due squadre o atleti prevede che uno vinca e l'altro perda, ma se tutto si limitasse alla notarile presa d'atto del risultato finale verrebbe meno il senso stesso del confronto. Si può uscire battuti ma con la consapevolezza di aver spremuto al massimo le proprie potenzialità, ed esserne orgogliosi. O sapendo di aver imparato qualcosa ed essere cresciuti, per preparare il terreno a future vittorie. Oppure si può perdere e basta, senza sudare, senza coraggio e senza dignità: capita anche questo e il giudizio non può essere identico all'altro.

Il calcio inglese ci è in questo momento superiore? Certo. Non lo ha scoperto l'Inter a Liverpool dove, semmai, ha provato a mettere in campo i propri pregi e i propri limiti ottenendo comunque un risultato a suo modo storico. Prima dell'Inter lo hanno sperimentato sulla propria pelle altre squadre che si sono misurate con i mostri della Premier League e nei prossimi mesi o anni (purtroppo) lo faranno anche altri. Ma sostenere che non esista la sconfitta onorevole significa negare l'essenza dello sport e, con una certa spocchia, affermare che non esista un futuro ma solo il presente. Pronti alla giravolta quando, un ciclo dopo l'altro, cambieranno gerarchie e nome del vincitore.

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