Lifestyle
July 05 2013
Premetto e ammetto: Mino Raiola mi sta simpatico. Posizione impopolare? Pazienza. Per molti è il diavolo in persona, una metastasi dentro al pallone. Ri-pazienza. Fossi un giocatore non avrei dubbi sull’identità del mio agente. Lui.
Idolo da quando, leggenda vuole, si presentò nell’ufficio del mammasantissima Luciano Moggi per la firma del contratto di Ibrahimovic con la Juventus, con questa tenuta: camicia generosamente sbottonata, bermuda e sandali. Sempre secondo la leggenda, Lucky Luciano lo apostrofò domandando se gli sembrava quello il modo di presentarsi. E il nostro rispose: “Siamo qui per parlare del contratto di Ibra o di come sono vestito io?”. Seguì firma del contratto.
Il resto è una lunga storia di campioni, soldi, mal di pancia e rumorose uscite al vetriolo. Sì perché, Mino Raiola è un grande comunicatore, sarcastico e mai banale. L’ultima volta che gli abbiamo parlato di persona, a proposito di giornali e giornalisti, disse che i tabloid inglesi “li uso al massimo per pulire i vetri della mia macchina”.
L’abbiamo visto ora con un paio di occhialini tondi finto-intellettuali, auto-caricatura perché a Mino importa nulla di passare per un illuminista. Infatti gli è scappata la più grossa sciocchezza che gli sia mai capitato di elargire al pubblico. Così enorme che siamo quasi certi l’abbia sparata apposta, consapevole dell’assoluta pornografia calcistica. “MilaneInter dovrebbero fondersi e così anche Lazio e Roma: meglio avere una squadra ricca e forte che due medie e con le pezze al sedere”.
È persino inutile dire che ogni singolo tifoso di queste quattro squadre preferirebbe l’iniezione letale della sparizione del proprio club. In Italia molto più che altrove. Ma provate a domandare a un tifoso del City come vedrebbe una fusione con lo United nel nome di un’unica Manchester imperiale. Come minimo becchereste una pinta in testa.
Fusione. È semplicemente la formula chimica della morte sportiva. Qui ne abbiamo anche una non necessaria prova: nel 1991 i due storici club del basket livornese si unirono per evitare la sparizione. Libertas, squadra della borghesia dopo uno scudetto sfiorato (o vinto, secondo qualcuno ancora oggi con quel canestro fantasma di Forti entrato nei grandi misteri epocali del nostro sport) e Pallacanestro Livorno, simbolo amaranto del porto di una città rossa. Seguirono un paio d’anni di agonia prima della presentazione di una fidejussione falsa alla Federbasket che portò alla scomparsa della Cosa, come la chiamavano non solo a Livorno. Con sollievo di tutti.
Sarebbe però troppo chiedere a al principe dei procuratori calcistici di conoscere questa piccola storia. Troppo e inutile. Mino Raiola sa perfettamente di aver sparato la più gigantesca delle cazzate.