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November 05 2014
Interstellar di Christopher Nolan, al cinema da domani, recensione breve (anche perché dura 168 minuti). Matthew McConaughey, sempre più scavato per far dimenticare i pettorali pre-Oscar, deve salvare il mondo. Si è messo a fare l'agricoltore chilometro zero perché le risorse scarseggiano, e pure il suo rigogliosissimo mais del Midwest ha vita breve. Ma è un ex astronauta della NASA, perciò viene chiamato da Michael Caine e mandato – lui fra tutti – a salvare il mondo, appunto. La missione è cercar pianeti su cui possano attecchire nuove forme di vita.
Con lui parte Anne Hathaway, sempre più saputella, specie quando discetta di sistema binario. McConaughey è un po' giovane favoloso, dice che la natura è matrigna e nulla si può fare contro di lei. Hathaway crede nell'amore che vince su tutto, anche sull'odio (è una citazione) e dice che la natura non è cattiva: al massimo un leone si mangia una gazzella, ma è nell'ordine delle cose.
Troveranno sulla loro strada un collega che come Icaro vuole sfidare le leggi del cosmo (finirà bruciato); onde anomale su pianeti su cui in teoria non c'è vita; molti buchi neri, e ancor più buchi di sceneggiatura. Ma non spoilero oltre.
Il punto cruciale è che McConaughey ha lasciato sulla terra una figlia piccola con ansie d'abbandono. Il film è, nelle intenzioni, tutt'una riflessione sull'essere padri e l'essere figli, sulla sopravvivenza della specie umana, sul go vegan e tutte quelle altre cose che subito portano in territorio Terrence Malick, dunque meglio uscirne o è peggio che essere risucchiati in un wormhole.
Il punto cruciale è anche un altro. Quel tono – tipico di Nolan, ma comune a tanti cosiddetti autori di oggi – del tipo: «Ti sto facendo vedere una roba che non assomiglia a niente di quel che è stato fatto prima, anzi: sovverte tutte le leggi della visione». Sarà. Sarà anche che vediamo sempre più cose, che la tv è (semplificando) una figata pazzesca, che Facebook produce più algoritmi di uno scienziato di Houston. Sarà che siamo più disincantati, disillusi, e tutte quelle cose che si leggono nelle riviste di costume. Sarà.
Non mancano effetti speciali fighi, musicone tra l'epico e i Goblin, e un certo gusto nerd: il buco nero in cui finisce McConaughey è la ripetizione infinita di una cameretta di bambino, per la gioia di noi generazione Goonies. C'è 2001: Odissea nello spazio, ma senza la saggezza; Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma senza lo stupore; pure il recente bellissimo Gravity, ma senza la sintesi. Assomiglia a tutto quel che è stato fatto prima, già dal quarto dei 168 minuti totali. A me ha fatto venire in mente una cosa più di tutte. Balle spaziali. In senso strettamente letterale.