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ANSA/ GIORGIO ONORATI
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Ior: il processo Caloia e le differenze con il crack dell'Ambrosiano

Un ex presidente dello Ior (Istituto per le Opere di Religione), la banca vaticana, è sotto processo per peculato ed autoriciclaggio. È Angelo Caloia, che dal 9 maggio siederà Oltretevere sul banco degli imputati per difendersi da pesanti accuse in merito ad operazioni finanziarie fatte quando era a capo dell'istituto di credito della S.Sede.

Ma quanta acqua è passata lungo il Tevere, lato Città del Vaticano, dai tempi in cui il predecessore di Caloia al vertice dello Ior, il vescovo Paul Marcinkus, fu protetto dalle autorità pontificie, pur coinvolto nel crack del vecchio Banco Ambrosiano nella sua veste di presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, per cui la S.Sede fu costretta a pagare ben 406 milioni di dollari a titolo di risarcimento per i clienti della banca milanese danneggiati.

Era l'inizio degli anni '80, e il crack dell'Ambrosiano si consumò col ritrovamento del presidente Roberto Calvi morto impiccato sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi, a Londra. Monsignor Marcinkus, benchè inseguito da un mandato di cattura internazionale, rimase rinchiuso dentro le mura vaticane protetto dalle autorità pontificie fino al suo trasferimento negli Usa, in una parrocchia di Sun City dell'Arizona, dove morì il 20 febbraio 2006, all'età di 84 anni.

Del tutto diversa la sorte per Angelo Caloia (78 anni) rinviato a giudizio dal Tribunale della S.Sede su richiesta del Promotore di Giustizia, con l'accusa di peculato e autoriciclaggio. Stessa accusa anche per il suo legale di fiducia, Gabriele Liuzzo, avvocato di 94 anni. L'indagine avrebbe toccato anche l'ex direttore generale, Lelio Scaletti, nel frattempo deceduto.

Le accuse

È la stessa banca del Papa – si legge in una nota dello Ior – che si è costituita parte civile nel processo, e che aveva dato il via alle indagini con una denuncia presentata nel 2014, col tentativo di voler chiudere i conti con un passato spesso caratterizzato da misteri, scandali e operazioni poco chiare. Secondo l'ipotesi accusatoria, Caloia – che si è sempre dichiarato innocente e pronto a rispondere alla giustizia pontificia - e il suo legale Liuzzo, avrebbero commesso presunti illeciti tra il 2001 ed il 2008 nell'ambito della dismissione di una parte del patrimonio immobiliare dell'Istituto per le Opere di Religione con un danno patrimoniale – a detta degli attuali dirigenti della banca vaticana - superiore ai 50 milioni di euro.

Secondo lo Ior, l'iniziativa rappresenta "un importante passo che conferma, ancora una volta, l'impegno profuso negli ultimi quattro anni dal management delle Opere di Religione, per attuare una governance forte e trasparente nel rispetto dei più rigorosi standard internazionali e la volontà dell'Istituto di continuare a perseguire, attraverso il ricorso alla giurisdizione civile e penale, qualunque illecito ovunque e da chiunque commesso ai suoi danni".

Era il dicembre del 2014 quando la banca pontificia rese noto dell'avvio dell'indagine a carico di Caloia. Allora lo Ior disponeva di un patrimonio immobiliare che valeva circa 160 milioni di euro e che si decise di mettere in vendita. Dalle verifiche interne condotte dall'Istituto era emerso che quel patrimonio di immobili sarebbe stato "svenduto", con la cessione dei beni dal 2001 al 2008 a prezzi molto bassi e l'applicazione di tariffe per compensi professionali molto alte. Caloia si è sempre detto estraneo ai fatti e vittima di operazioni ideate da altri, e che in Tribunale lo dimostrerà.

Le differenze con Marcinkus

Il presunto danno economico contestato all'ex presidente Ior è dunque di circa 50 milioni di euro, una cifra comunque inferiore ai 406 milioni di dollari che lo Ior pagò a metà degli anni '80 per il crack dell'Ambrosiano. “Quando firmai quell'assegno a titolo di buona volontà della S.Sede mi tremava la mano”, avrebbe confessato in seguito l'allora vescovo prelato dello Ior, monsignor Donato De Bonis, l'unico dirigente dell'Istituto vaticano a non finire sotto inchiesta, che nell'unica intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica si chiedeva come mai gli inquirenti si ostinavano a guardare “solo” al Vaticano “invece di indagare sulle responsabilità internazionali che portarono al crack dell'istituto milanese”.

Marcinckus, invece, non fu chiamato dalla giustizia pontificia a “spiegare” il perchè del coinvolgimento dello Ior da lui presieduto nel fallimento della banca di Roberto Calvi. Rimase per oltre una decina d'anni richiuso in Vaticano in una stanzetta del Governatorato fino al pensionamento. Al contrario del successore Caloia rinviato a giudizio dal Tribunale papale. Altri tempi, altri metodi, ma stessa storia.

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