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Iran, attacco alle bambole della Barbie

Era già accaduto, alla metà degli anni 90, che la polizia religiosa iraniana chiudesse d'imperio decine di negozi che a Teheran mettevano in vendita le Barbie, le più popolari bambole del mondo, considerate dai settori più conservatori dell'establishment iraniano come il simbolo della degradante cultura occidentale. Vestite in modo succinto, in un Paese dove le donne debbono camminare per strada con il volto coperto e uomini e donne non possono nuotare insieme, le Barbie hanno storicamente rappresentato per l'ala conservatore del regime - come ha scritto un'agenzia governativa iraniana - il «cavallo di Troia» delle diaboliche influenze occidentali in Iran.

Questa volta, ad attaccare le più famose bambole del mondo, è un sito conservatore iraniano chiamato Tribune-e Mostazafin ('la tribuna degli oppressi') in un articolo intitolato: «Ci sono bombe nude e bionde a Teheran». Ma in realtà non c'è nulla di realmente diverso da quanto è accaduto in passato: a ondata neoconservatrici contro i valori occidentali si susseguono in Iran, specie dopo la morte di Khomeini, nuove ondate di aperture, di cui l'elezione di un  presidente aperturista come Rohani è stata il simbolo più eclatante.

Prima che cadesse lo shah sotto i colpi di una rivolta popolare di cui presto presero il comando i settori più tradizionalisti del clero, anche a discapito degli altri partiti che avevano dato il via alla protesta contro il regime dello Shah, l'Iran era del resto una delle società culturalmente più sofisticate, politicizzate e laiche di tutta l'area. Per certi versi, specie a Teheran, e specie tra le classi urbanizzate e colte, è tuttora così. L'affondo contro le Barbie fa infatti da contraltare a una società giovane in rapida evoluzione, desiderosa di guardare oltre i richiami al passato.

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