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August 28 2017
L'Italia si prepara a un attacco del terrorismo, guidato dall'Isis.
La possibilità porterebbe gli italiani alla realtà di un fenomeno globale che in Europa ha le sue radici più giovani e potenzialmente rigogliose: il jihadismo militante delle seconde e terze generazioni di musulmani.
Questo tipo di jihadismo registra tra i terroristi islamici – riporta l'autorevole ISPI – un impressionante 73 percento di cittadini nati in Europa, o con passaporto europeo, e un 11 percento di irregolari e rifugiati o richiedenti asilo.
Il rischio dunque c'è, è concreto e non deve essere sottovalutato. Tanto da indurre il comandante delle guardie svizzere del Vaticano a dichiarare di essere "pronti ad affrontare qualunque minaccia". Sorprenderebbe il contrario, ma l'enfasi dei media ha attirato l'attenzione di un'opinione pubblica che sente sempre più l'avvicinarsi del pericolo.
In questi giorni gli allarmi sono aumentati a seguito di “nuovi messaggi” attraverso il social-network Telegram: “Attaccate l’Italia”. Gli appelli di recente ripresi da “Site” – società statunitense che segue le attività online delle organizzazioni jihadiste – sono attendibili o ci troviamo di fronte a un eccessivo allarmismo?
È importante non sottovalutare una minaccia tanto probabile quanto inevitabile, ma la questione è un'altra: non dobbiamo lasciarci coinvolgere dall'isteria collettiva frutto dall'amplificazione dei media, e in particolare dei social network senza controllo. Che è proprio ciò su cui punta il terrorismo.
Vecchio e nuovo si mescolano, contribuendo alla confusione a dunque alla paura: all'esplicita minaccia diretta a Papa Francesco si sommano altri vecchi appelli che ritornano con effetto ciclico sul Web anche a causa di errori di valutazione degli stessi analisti.
Come ha ben evidenziato il centro di ricerca italiano sul terrorismo ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies), quello rilanciato da “Site”, pur essendo materiale effettivamente dell'Isis, è roba vecchia, diffusa sul Web il 26 Novembre 2016. E ancora, sempre "Site", in questi giorni ha condiviso la foto di un simbolo jihadista a New York: ancora una volta il gruppo di analisti statunitensi ha commesso l'“errore” di pubblicare una vecchia immagine del 2014.
Questo non aiuta nell'opera di informazione responsabile ma amplifica l'effetto indiretto della propaganda dell'Isis, che riesce a imporsi anche sfruttando vecchi appelli, penetrando sempre più l'immaginario collettivo e inducendo in errore gli stessi addetti ai lavori.
La minaccia all'Occidente, e all'Italia, è dunque reale ed ha proprie peculiarità: è nuova, terroristica e di natura insurrezionale.
Questo “nuovo terrorismo insurrezionale”, che nulla ha a che fare con quello politico degli anni '70 e '80, nasce in Medioriente con l'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003, si sviluppa nella metà degli anni duemila e nel 2014 si impone all'attenzione del mondo mediante un efficace mix di marketing, premium-branding e franchising.
L'Isis si è così imposto sul campo di battaglia, in Iraq e Siria (e poi Libia e Afghanistan), e sull'immaginario globale.
Oggi l'Isis ha però perso quasi tutto ciò che aveva conquistato in dieci anni: territori, risorse energetiche, accesso a canali di commercio e finanza, ma non l'appeal mediatico.
E non potendo più contare sulla natura “territoriale”, ha saputo trasformarsi in fenomeno sociale ad alta penetrazione attraverso l'esternalizzazione della violenza; un outsourcing che, attingendo tra migliaia di radicalizzati, ha convinto decine di giovani a trasformarsi in “armi di prossimità”, vere e proprie armi intelligenti a tempo pronte ad entrare in azione.
Dal Medioriente all'Europa, l'Isis ha così saputo mettere in campo due tipologie di minacce.
Da un lato quelle “organizzate e strutturate”, come gli episodi di Parigi e Bruxelles ci hanno dimostrato: commando suicidi militarmente preparati ed equipaggiati che hanno importato tecniche di guerra asimmetrica sviluppate in Iraq, Siria e Afghanistan. Una minaccia che continuerà ad alimentarsi con l'arrivo di ex-foreign fighter, e con la disponibilità di armi facilitata da una crescente connessione con la criminalità organizzata.
La seconda tipologia di minaccia è “non organizzata o semi-strutturata”, spesso individuale, emulativa, che in genere segue le azioni più eclatanti e mediaticamente rilevanti.
È fatta di azioni di tipo low-cost, utilizza oggetti quotidiani e di facile reperimento, come coltelli e autoveicoli, con elevato livello di improvvisazione, spesso fallimentare sul piano operativo ma in grado di diffondere panico e imporre scelte di politica di sicurezza rilevanti.
Un approccio sociale a basso investimento che, pur aumentando nel numero non riesce però a ripetere i successi operativi degli attacchi organizzati di Parigi e Bruxelles; e l'attacco di Barcellona, come i precedenti episodi minori di Nizza e Londra, dimostra un certo indebolimento: gruppo impreparato, incapacità di gestire la produzione di esplosivo che ha provocato la morte di metà del gruppo, coltelli di uso domestico acquistati poco prima di entrare in azione.
Ma tutto ciò, se da un lato è prova della scarsa capacità operativa e di pianificazione, dall'altro è un chiaro indicatore di volontà di colpire e capacità di reclutamento. Una compensazione più che soddisfacente.
Quando la capacità dei reduci dell'Isis riuscirà a intercettare la volontà dei giovani radicalizzati avremo di fronte una minaccia molto più pericolosa di quella che si è manifestata in questi ultimi anni di cui Parigi e Bruxelles, e poi Barcellona, con le loro centinaia di morti e feriti sono stati i primi segnali.