Con l'Islam stiamo usando l'approccio sbagliato

Islamocensura. È il termine che il filosofo Brendan O’Neil utilizza nel suo ultimo libro Il manifesto di un eretico. Saggi sull’indicibile (LiberiLibri 2024) per indicare le forme censorie utilizzare dall’islamismo verso la cultura occidentale all’interno dei nostri paesi. È quanto si è verificato di recente a Treviso, con la scelta, in nome della “sensibilità” etica e religiosa, di un dirigente scolastico di esentare due studenti musulmani dallo studio di Dante, ritenuto dagli stessi offensivo per motivi religiosi. Un episodio che fa il paio con l’occupazione dell’università di Torino, dove si predica il Corano fuori dalla legalità. Sono questi esempi di tolleranza o comportamenti che mettono a rischio la futura convivenza con l’Islam?

È una domanda che va posta perché in Italia ci sono quasi due milioni di musulmani oramai. E se tutti sono d’accordo col fatto che la libertà religiosa vada garantita e preservata è altrettanto vero che ci sono modi diversi per farlo. Scegliere la strada di chi, in nome della tolleranza e dell’integrazione, permette alle comunità musulmane di decidere luoghi e programmi in modo quasi arbitrario è pericoloso perché consente ad una parte consistente degli abitanti del nostro paese di fede islamica di auto-segregarsi in nome della libertà religiosa. È quanto accaduto negli scorsi decenni in Francia, Belgio ed in Inghilterra coi risultati che vediamo oggi: quartieri impenetrabili dove vige la sharia, scuole musulmane dove prendono piede processi di radicalizzazione, comunità che non hanno contatti con il resto della popolazione nonostante si tratti spesso di secondo e terze generazioni dotate di cittadinanza. È da queste condizioni che nasce il terrorismo, quello che spezza vite in nome di Allah e dell’odio all’Occidente.

L’Italia è ancora forse in tempo, per poco, per evitare tutto questo. I cittadini musulmani devono essere messi in percorsi di integrazione che permettano loro di assorbire la cultura italiana e occidentale, oltre ad avere la libertà di praticare il proprio credo. Questo significa vietare qualsiasi deroga ai programmi scolastici per questioni religiose, favorire l’educazione civica e il dibattito interreligioso. Al tempo stesso i luoghi di culto devono essere pubblici, identificabili, riconosciuti. Vale per le chiese e deve valere anche per le moschee. Le stesse associazioni culturali islamiche dovrebbero essere coinvolte soprattutto nella politica locale per evitare che, in alcuni casi, si trasformino in cellule radicalizzate. Insomma, la strategia peggiore, quella che mette a rischio sia l’integrazione che la sicurezza nazionale, è di permettere in nome della tolleranza la creazione di enclave islamiche senza alcun contatto col resto della società. È la retorica che troppe volte si è ascoltata a sinistra con risultati disastrosi e che hanno prodotto l’esatto opposto del progressismo che i suoi sostenitori sognavano. Invece di “democratizzarsi” e “laicizzarsi”, l’Islam si è radicalizzato grazie alla politica multiculturale. Se questo è il primo punto da evitare, al tempo stesso la destra non deve far cadere l’argomento nel disinteresse, trattarlo come se non esistesse e puntare tutto sulla prevenzione poliziesca. Perché con due milioni di musulmani quest’ultima non basterà. E se oggi si possono tenere a bada qualche decina di fondamentalisti domani non se ne potranno tenere migliaia sotto controllo se nel frattempo non si cercherà di fare qualcosa a favore di una integrazione ferma e non auto-escludente.

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