Islanda, un popolo con il dna registrato e studiato
Nel suo complesso l’Islanda non è solo una terra dai paesaggi spettacolari, ma il più grande laboratorio genetico del mondo. Oggi sono 350mila su 366mila i cittadini islandesi il cui genoma è stato mappato in tutta la sua sequenza. Come dire che la compagnia islandese deCode genetics, che sta portando a compimento questa impresa storica, ha in mano il ritratto genetico di ogni singolo cittadino. Oggi deCode appartiene all’azienda american biotech Amgen che sfrutta dati sui genomi per lo sviluppo di farmaci. Accedendo al materiale biologico, ai fascicoli sanitari e alle ricostruzioni genealogiche islandesi spera di capire di più la genetica di diverse malattie così da creare nuovi strumenti di diagnosi, cura e prevenzione.
Queste ricerche sono cominciate nel 1998 quando il genetista Kari Stefansson propose la mappatura completa di tutti gli islandesi. L’isola ha infatti caratteristiche peculiari: prima di tutto la maggior parte degli islandesi possiede dati genealogici della propria famiglia, al punto che l’80 per cento di tutti gli islandesi mai vissuti fanno parte di un database; secondo, la documentazione clinica del sistema sanitario nazionale è capillare e risale al 1915; infine, la popolazione è piccola in numero, omogenea e con un grado di alfabetizzazione digitale altissimo.
Nel 2015, deCode aveva già sequenziato più di 104mila genotipi e ne aveva discusso le potenzialità per la comprensione di diverse malattie su riviste come Nature Genetics. In quegli articoli venivano identificate più di 20 milioni di mutazioni genetiche e un milione e mezzo di inserzioni e delezioni. Ancora prima del 2015 era scoppiata una controversia tra gli islandesi sull’eventualità di consegnare campioni di sangue a un’azienda privata che prometteva di proteggere la loro privacy. Il dibattito che ne nacque produsse una vasta messe di articoli e dibattiti televisivi nell’isola ma il parlamento diede il via libera alla mappatura del genoma dei cittadini, previo consenso informato.
Per un singolo cittadino islandese che accetta il sequenziamento il vantaggio è quello di sapere se possiede varianti genetiche che predispongono a malattie quali neuro-degenerazione, aterosclerosi, osteoporosi e molte altre. Sulla base delle conoscenze acquisite sul suo genoma potrà adattare il suo stile di vita: per esempio, se ha una predisposizione a divenire obeso allora cercherà di fare sport.
D’altra parte, non sembra ci sia molto vantaggio a sapere che uno è predisposto a malattie gravi per le quali non c’è cura, anche se in molti casi diagnosticarle in anticipo può essere di aiuto: nel caso dell’Alzheimer, i sintomi della demenza possono essere ritardati nel caso di una diagnosi precoce.
Fare una mappatura di questo tipo in Italia è molto più complicato non solo perché significa sequenziare sessanta milioni di genomi anziché 350mila ma anche perché si tratta di una popolazione mista. Il fatto che gli islandesi derivino da un ristrettissimo gruppo di individui rende i risultati semplici da analizzare. La Sardegna rappresenta invece un caso simile all’Islanda tanto che una mappatura genetica su migliaia di persone è stata già effettuata dall’Irgb-CNR con l’individuazione di geni legati alle malattie cardiache e alla bassa statura.
Accanto al vantaggio di una medicina di prevenzione e precisione vi sono però i rischi per la privacy. I colossi del digitale, le case farmaceutiche o le compagnie assicurative potrebbero entrare in possesso del nostro profilo genetico così da prendere varie decisioni nel loro interesse. Per esempio, una compagnia assicurativa potrebbe decidere i prezzi sulla base di certe caratteristiche genetiche e le compagnie farmaceutiche potrebbero sperimentare farmaci su determinati profili genetici. Il ruolo della legislazione è quindi cruciale: l’Unione Europea vieta alle compagnie assicurative l’utilizzo di test genetici.
Dal punto di vista della sicurezza, una mappatura genetica totale di un Paese aiuterebbe la polizia a trovare i colpevoli, rendendo un Paese più sicuro. A questo proposito, si può citare un episodio avvenuto nella contea inglese del Leicestershire, nel 1983, quando in una zona isolata fu ritrovato il corpo di una giovane di nome Lynda Mann. Dalle analisi del liquido seminale ritrovato e analizzato con le tecniche allora disponibili si comprese che poteva appartenere al 10 per cento della popolazione. Il caso rimase irrisolto finché un’altra ragazza coetanea di Lynda fu uccisa, e non fu ritrovato lo stesso Dna sul luogo del reato. Un diciassettenne del luogo si dichiarò colpevole, ma la comparazione dei due Dna rivelò che si trattava di un mitomane. Le autorità decisero di prelevare un campione di sangue a circa 5 mila uomini della contea. Nonostante l’enorme di spendio di denaro ed energia, il profilo genetico dell’omicida era diverso da tutti quelli prelevati. Nel 1987 ci fu la svolta nelle indagini: un tale si vantò di aver accettato 200 sterline da un amico, Colin Pitchfork, sposato e con figli, per fornire al suo posto un campione di sangue. Le analisi comparative del Dna identificarono Pitchfork come l’assasino, poi condannato all’ergastolo per duplice omicidio aggravato. Una banca dati del Dna nazionale avrebbe abbreviato i tempi, di fatto rendendo immediatamente possibile l’arresto del colpevole.
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