Difesa e Aerospazio

Israele applica lo Shock and Awe, colpisci e terrorizza

Da ieri mattina sono in corso sul Libano attacchi aerei israeliani con una frequenza e un’intensità che non si registrava da parecchio tempo, ovvero dai 34 giorni che, dal 12 luglio al 14 agosto del 2006, videro l’aviazione israeliana (Iaf) impegnata in una rappresaglia decisa dopo il sequestro di due soldati da parte di Hezbollah. Ora però quell’intensità è stata superata: i messaggi diffusi dalle forze armate parlano di 150 sortite contro circa 300 obiettivi nei distretti di Nabatieh, Tiro, Marjaayoun e nella valle della Bekaa nelle ultime 36 ore. Ciò che l’aviazione vuole colpire sono principalmente i magazzini e di depositi di armamenti, le postazioni di lancio di razzi e missili, nonché i centri di comando e controllo dei droni. E seppure siano tutti luoghi nascosti e spesso rischierati rapidamente e di continuo, dai filmati degli attacchi diffusi dai media si riconoscono chiaramente sia le esplosioni delle bombe israeliane, sia quelle secondarie dovute agli incendi di materiale pirico che viene investito dalle fiamme. Poi c’è l’effetto dei danni collaterali e quello psicologico sulla popolazione, altrettanto terribile e distruttivo, con l’effetto del “colpisci e terrorizza”.

Nelle operazioni vengono utilizzati tre tipi di velivoli: gli F-16C ribattezzati “Sufa”, normalmente alcuni dei 25 esemplari di F-15 (varianti A/C/I) non ancora sottoposti ad aggiornamento di mezza vita operativa, anche se il Dipartimento di Stato Usa, circa un mese fa, ha approvato una serie di vendite militari a Israele, tra cui la ratifica dell’accordo da 18 miliardi di dollari per un massimo di 50 nuovi caccia F-15 in variante “IA”, ma anche programmi di aggiornamento, motori, radar e altre attrezzature. Sebbene entrambi i velivoli possano colpire come bombardieri, il loro compito è comunque differente: lo F-16 viene utilizzato laddove può essere necessario effettuare manovre più elaborate; lo F-15 opera invece da una quota maggiore e viene scelto anche per la difesa da eventuali minacce aria-aria che possano essere inviate, per esempio, dall’Iran. Infine, vengono utilizzati gli F-35 I “Adir” per missioni innanzi tutto ISR, ovvero di ricognizione, sorveglianza degli obiettivi, raccolta e trasmissione di informazioni. Quest’ultima scelta è dettata sia dalle dotazioni sistemistiche degli aeroplani, ovvero le suite di sensori presenti a bordo, sia per le caratteristiche di lunga autonomia. In pratica gli Adir volano come piattaforme di ricognizione armata (compito definito Non–Traditional ISR), scoprono e seguono i bersagli, comunicano la situazione e, se ricevono l’ordine di colpire, li neutralizzano con più precisione scegliendo, quando possibile, il momento più favorevole. Lo fanno utilizzando il radar Aesa Apg-81, dotato di grandi capacità di calcolo, utilizzo di mappe ad alta risoluzione e in grado di seguire diversi bersagli contemporaneamente, e il sistema Eots (Electro-Optical Targeting System), che fornisce una capacità di puntamento aria-aria e aria-superficie di precisione. Esso è collegato al computer centrale integrato dell'aereo tramite un'interfaccia in fibra ottica ad alta velocità e combina funzioni di ricerca e di tracciamento con utilizzo di raggi infrarossi, fornendo al pilota un quadro dettagliato della situazione consentendo l’identificazione delle aree di interesse, l’esecuzione di lunghe ricognizioni e il lancio di armi guidate da laser e Gps. Nel caso delle missioni che decollano Israele per colpire il Libano, il compito dei piloti è favorito da diversi fattori: innanzi tutto la ridotta estensione della zona operativa, che consente quindi di raggiungere l’area in brevissimo tempo e senza dover fare rifornimenti in volo, inoltre c’è il fatto che in Libano non si sia alcun sistema antiaereo ad attendere i jet della Iaf. Tutto questo avviene comunque mentre l’attività di ricognizione effettuata con droni non si arresta mai, specialmente con il controllo continuo delle aree nelle quali si sospetta la presenza di minacce. Di conseguenza per i combattenti Hezbollah diventa complesso e molto rischioso schierare le batterie di lancio senza essere individuati. Le basi da cui decollano i jet israeliani sono diverse, da Palmachim (venti chilometri a sud di Tel Aviv), dove sono schierati reparti dotati di droni e missili, a Ramat David (nel Distretto del Nord), fino a Nevatim e Ramon, nel territorio più centrale del Paese, dove hanno base diversi reparti della Iaf. Si può quindi parlare di metodo “Shock and awe”, ovvero colpisci e terrorizza o del “dominio rapido”, nota tattica militare basata sull’applicazione di una forza di grande superiorità del campo di battaglia usata per eliminare la voglia del nemico di combattere provocando una sensazione di totale impotenza. E’ tuttavia parere di molti analisti militari che questo effetto non sia così efficace su popolazioni di fede musulmana, portate a concepire la vendetta come dovere imperativo. Ma ciò, ovvero lo Shock and awe, è possibile fintanto che gli attacchi arrivano dal cielo, dove le forze israeliane hanno grande vantaggio; completamente differente sarebbe invece la situazione qualora le Idf dovessero invadere il Libano. Perché combattendo nel loro territorio e non essendo riconoscibili, sarebbero avvantaggiati i miliziani Hezbollah. E dopo Gaza, probabilmente gli israeliani questo vorrebbero evitarlo.

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