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October 30 2014
All'indomani dell'uccisione da parte dello Shin Beth di Muatnaz Hijazi, il presunto militante della Jihad islamica palestinese sospettato di aver partecipato all'attentato contro il rabbino estremista Yehhuda Glick, il premier Benjamin Netanyahu ha preso oggi una decisione che, per il suo elevato valore simbolico, potrebbe essere foriera di nuovi, violenti scontri in terra santa: la chiusura d'imperio della Spianata delle Moschee nella città vecchia di Gerusalemme, il luogo sacro conteso da arabi ed ebrei controllato militarmente dal 1967 dall'esercito israeliano.
Che questa decisione sia pericolosa, per la fragile tregua siglata al Cairo due mesi orsono, ce lo ricorda non soltanto l'insolita e bellicosa dichiarazione del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmmud Abbas, secondo il quale «la chiusura equivale a una dichiarazione di guerra al popolo palestinese», ma soprattutto la storia stessa del conflitto arabo-israeliano, un conflitto dove le ragioni nazionali e quelle simboliche-religiose si mescolano e sovrappongono, formando un micidiale cocktail di diffidenza e odio reciproco. E trasformando il cuore della città vecchia di Gerusalemme, venerato dai fedeli di tutt'e e tre le religioni monoteiste, in uno dei luoghi più militarizzati al mondo. Dove anche il diritto alla preghiera diventa un fatto politico di vaste proporzioni.
EPA/MAHFOUZ ABU TURK
Il piazzale antistante la Moschea al-Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme gremita di musulmani per le preghiere dell'Eid al-Fitr che chiudono il mese di Ramadan - 8 agosto 2013
ANSA /EPA /A.Badarneh
Fedeli alla moschea di al-Aqsa di Gerusalemme nell'ultimo venerdì di preghiera del Santo mese del Ramadan, 2 Agosto 2013
courtesy l’artista
Ahlam Shibli
Untitled (Death no. 37), Palestine, 2011-12, c-print
Campo profughi Balata, 12 Febbraio 2012.
Un dipinto nella camera per gli ospiti della famiglia di Kayed Abu Mustafa raffigura il martire. Vi è scritto: “La pantera di Kata’ib Shuhada’ al-Aqsa, Mikere” (Mikere, delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa). Le persone nella stanza sono la madre di Mikere, il suo nipotino e i suoi due figli.
courtesy l’artista
Ahlam Shibli
Untitled (Death, no. 12), Palestine, 2011-12, c-print
Campo profughi Balata, Vecchio Cimitero, 12 Febbraio 2012.
Entrata del Vecchio Cimitero. Quest'ultimo è l'unica area verde del campo. E' utilizzato dagli abitanti locali come luogo d'incontro e come scorciatoia per la strada principale. La scritta sopra all'entrata, a destra, dice “Combattili; Allah li punirà per mezzo delle vostre mani, li disonorerà e vi farà vincere e soddisferà i cuori di un popolo credente. Brigate dei Martiri di al-Aqsa.” A sinistra c'è scritto: “Sto partendo, lasciando a te le mie canzoni/ e una ferita che non ha toccato la mia gloria/ lo sguardo della persona amata, il pianto di un bambino e le olive / respirano nel mio sangue e vi darò ciò che mi appartiene nel mondo e me ne andrò”. I poster ritraggono importanti figure di martiri della zona del campo.
AHMAD GHARABLI/AFP/Getty Images
6 febbraio 2013. Un bulldozer in azione per radere al suolo un edificio israeliano nella piazza del Muro occidentale della Città Vecchia di Gerusalemme. Secondo la Fondazione Al-Aqsa, che si batte per la difesa dei luoghi santi islamici, i bulldozer israeliani stanno demolendo la facciata e gli archi di un edificio storico islamico, distante poche decine di metri dalla moschea di Al-Aqsa, per poi costruirvi un complesso che comprende una sinagoga, una sala da ricevimento e una stazione di polizia.
Il dizionario del conflitto israelo-palestinese
Basti ricordare qualche episodio per capire quale valore ha assunto la questione dello status dei luoghi sacri. Fu, nell'ottobre 2000, la famosa (e provocatoria) passeggiata di Ariel Sharon nella spianata delle Moschee che fece da detonatore allo scoppio della seconda intifada degli uomini bomba che sostituiva quella, pacifica e popolare, delle pietre della fine degli anni 80. Fu soprattutto la questione dello status di Gerusalemme e il controllo dei suoi luoghi sacri a provocare, alla fine degli anni 90, la tragica rottura delle trattative tra Yasser Arafat e il premier israeliano Ehud Barak a Camp David.
Da Bill Clinton a Barack Obama, da George Bush a Jimmy Carter, qualunque inquilino della Casa Bianca si sia cimentato con la questione dello status di Gerusalemme, ha dovuto poi fare i conti con quella bramosia di possesso assoluto dei suoi luoghi sacri che è diventata spesso, nel corso della storia secolare del conflitto arabo-israeliano, il pretesto e il detonatore di tutti i conflitti. «Il problema di Gerusalemme consiste nel fatto che è oggetto di una competizione aspra, crudele e nazionalistica tra gli ebrei d'Israele e gli arabi palestinesi. Per entrambe le parti vincere la competizione significa acquistare una sovranità incontrastata sulla città» ha spiegato Avishai Margalit, tra i più acuti analisti politici israeliani, professore di Filosofia all'Università ebraica di Gerusalemme.
Il fatto è che, su questo terreno simbolico, i leader ultrà arabi e israeliani non arretrano né possono farlo, pena l'impopolarità. L'ultimo episodio, qualche giorno fa, quando il sindaco israeliano della Città (contesa), l'ultranazionalista Nir Barkat, ha deciso per ragioni elettorali di sfatare il tabù dell'inviolabilità della Moschea Al Aqsa (dove pregano i musulmani) facendovi il suo ingresso - provocatorio - insieme a un gruppo di parlamentari estremisti della Knesset, il parlamento israeliano. Ne è seguito il tentato omicidio del rabbino Glick, anche lui tra i più accesi e radicali sostenitori del carattere esclusivamente ebraico della città vecchia, e l'omicidio durante una sparatoria di Hijazi, il militante 32enne considerato vicino alla Jihad islamica che aveva passato dieci degli ultimi dodici anni nelle carceri israeliane. Oggi, dopo l'ennesimo annuncio sulla costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme est che sta rendendo sempre più freddi i rapporti tra Washington e Tel Aviv, l'ultimo atto: la chiusura della Spianata delle Moschee. Fino a quando reggerà la fragile tregua? Potrebbe scoppiare una terza intifada?