News
November 22 2012
Tra Israele e Hamas è tregua , almeno per ora. L'annuncio, dato ieri dal Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e dal presidente egiziano, Morsi, è entrato in vigore alle 20. Per Israele, che ha interrotto per primo le ostilità, di tratta di una "possibilità al cessate il fuoco" offerta a Gaza, e giunta all'ottavo giorno di ostilità. E proprio la durata dell'offensiva di Tel Aviv offre uno spunto di riflessione ad alcuni analisti internazionali. L'accordo per sospendere gli attacchi israeliani, costati la vita a oltre 140 palestinesi e sei israeliani, era pronto da almeno 24 ore e la firma era attesa per martedì sera, dunque dopo 7 giorni di raid. Un numero non casuale, soprattutto secondo la cabala, ovvero gli insegnamenti esoterici e mistici propri dell'insegnamento ebraico.
Non si tratterebbe dell'unico esempio di azioni militari di Tel Aviv "guidate" dai testi sacri e che ruotano intorno al fatidico numero sette. Come se si volesse ricalcare lo schema della Creazione, è già accaduto che Israele conducesse operazioni-lampo della durata di sette giorni. L'esempio più noto è quello della Guerra dei Sei giorni, programmata a tavolino per attaccare di sospresa Siria ed Egitto in sei giorni, ma in modo da tale da terminare le operazioni belliche proprio il settimo giorno, quello che nella Bibbia è dedicato al riposo e alla gioia (per la vittoria, in questo caso).
Nel caso degli ultimi attacchi di Tel Aviv contro la Striscia di Gaza, si temeva che il confitto potesse durare più a lungo. Ma quanto più a lungo? Sette settimane. A dichiararlo esplicitamente era stato il generale Eisemberg, che aveva usato un linguaggio simbolico per rivolgersi alla popolazione. Un linguaggio tratto proprio dai testi sacri, come il Levitico, dove si legge che l'anno giubilare dura "sette settimane di anni", ovvero 49 anni, mentre il 50esimo è quello dedicato alla festa. Le sette settimane, oggi, sono intese proprio come le "nostre" settimane e, seguendo i versetti 8-10 del capitolo 25, si può notare una coincidenza stupefacente con l'attualità: "Dichiarate santo il 50 esimo anno e proclamate la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giulibleo, ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia".
Insomma, la terra promessa, quella Palestina che ancora oggi secondo molti israeliani è "occupata" dai palestinesi. Che il numero sette abbia una valenza particolare e sacra lo si deduce anche dal Deuteronomio, altro testo importante nella tradizione ebraica, dove si può leggere: "Conterai sette settimane; da quando si leverà la falce nelle messe comincerai a contare sette settimane: poi celebrerai la festa delle settimane per il Signore tuo Dio...". Che sia tutta una coincidenza? Secondo molti esperti, anche militari, assolutamente no e la prova verrebbe anche da altri riferimenti ai testi sacri nella simbologia bellica israeliana.
I carri armati israeliani, ad esempio, sono stati ribattezzati Merkavà, termine con cui nella Bibbia era indicato il carro di fuoco che il profeta Ezechiele vide correre nel cielo e da cui venivano lanciati fulmini e saette. Ma chi era Ezechiele? Era proprio colui che visse anni di esilio in Babilonia, sognando il ritorno nella Terra Promessa (e occupata). Verrebbe dunque da pensare che anche nel significato dei raid degli scorsi giorni ci sia una sorta di volontà di rievocare la liberazione della Palestina. D'altro canto, in arabo moderno i palestinesi sono indicati col nome di filistin, che ricorda gli antichi Filistei. Sempre per quanto riguarda la simbologia, qualcuno fa notare come la posizione dei comandanti dei carri armati di Tel Aviv ricordi molto da vicino quella con cui viene descritto Mosè durante la guerra contro Amalek: in piedi, col busto eretto. Si dice anche che esista una sorta di scaramanzia secondo la quale se le braccia del comandante sono alte, gli israeliani possono avere la meglio in combattimento, proprio perchè Mosè, quando le abbassò, stanco per la battaglia, rischiò di essere sconfitto.
Cabala a parte, resta la singolare analogia, soprattutto se si pensa che la tregua raggiunta ieri, in realtà sembra che stesse per essere dichiarata unilateralmente da Israele il giorno prima, martedì, ovvero proprio il settimo giorno di scontri. La bomba sul busa Tel Aviv ha complicato le cose, ma la conferma che tutto fosse pronto arriva dalle parole del Ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, secondo cui gli obiettivi dell'operazione Pilastro di Difesa, erano e sono stati raggiunti. Se alle parole di Barak ("Hamas e Jihad hanno incassato una dolorosa sconfitta"), ha risposto il capo di Hamas, Khaled Meshaal ("Israele ha fallito tutti i suoi obiettivi, grazie a Dio"), il terzo incomodo resta l'Iran, che ha offerto sostegno ai palestinesi e che, secondo alcuni, era il vero destinatario del "messaggio armato" di Israele. Non a caso il temuto (e per ora evitato) accatto israeliano a Teheran, accusato di essere in procinto di ultimare la realizzazione dell'atomica a fini bellici, era progettato in questo periodo dell'anno e per la durata di poche settimane, forse proprio sette.